Ancora una volta, come ormai avviene da anni, ieri alcuni importanti siti d’informazione hanno annunciato un vaccino italiano contro l’Aids efficace al 90%. Grande sorpresa generale, incredulità nel mondo scientifico, entusiasmo tra migliaia di persone sieropositive e i/le loro partner. Nel giro di un paio di ore i titoli cambiano, forse per l’intervento da parte di qualche autorevole ricercatore sui direttori dei giornali online, forse perché qualche giornalista si è reso conto di averla sparata grossa. Non c’è all’orizzonte alcun vaccino per l’Aids, purtroppo, né tantomeno alcun vaccino italiano contro l’Aids.

Ma stamattina il Corriere torna a parlare nel titolo di vaccino: “Aids, il vaccino italiano e il futuro senza farmaci”. “Aids, il vaccino e made in Italy” titola l’Avvenire. “Il gol finale per sconfiggere l’Hiv” titola la Stampa. Sulla stessa lunghezza d’onda diversi quotidiani di provincia: “Lotta all’Aids, un vaccino italiano” titola a tutta pagina il Giornale di Vicenza, per fare un esempio. Sembra di essere tornati indietro di oltre 20 anni. Il 24 ottobre 1998 i principali quotidiani italiani titolavano: “Vaccino anti-Aids: l’Italia è prima”, “Aids, funziona il vaccino italiano” o “Il mio vaccino batterà l’Aids”, riprendendo con enfasi l’annuncio fatto il giorno prima dalla ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità Barbara Ensoli, durante un simposio internazionale su Aids e cancro.

“Da allora decine di milioni di euro sono state stanziate dallo Stato italiano per sostenere il progetto di un vaccino contro l’Aids – basato sulle proprietà della proteina Tat – illudendo milioni di persone che la cosiddetta ‘peste di fine millennio’ stesse per essere sconfitta. Dopo 15 anni nessun vaccino italiano contro l’Aids è apparso all’orizzonte”. Cosi scrivevo insieme a Carlo Gnetti nella presentazione del libro Aids, lo scandalo del vaccino italiano, edizione Feltrinelli, pubblicato nel 2012. Libro al quale diede un importante contributo anche il prof. Fernando Aiuti, recentemente scomparso. I titoli dei giornali di oggi ci riportano indietro a quel 24 ottobre 1998.

Nell’introduzione al libro lo scienziato Robert Gallo, contestando il termine di “vaccino terapeutico”, scriveva: “Il termine corretto dovrebbe essere ‘immunoterapia’, in modo da evitare confusione con un vero vaccino che previene l’infezione”. Ragionamento incontestabile, non difficile da comprendere, certamente non sconosciuto ai giornalisti che scrivono di sanità, eppure molti di loro perseverano nell’errore. Poca attenzione? Sciatteria? Ricerca dello scoop a ogni costo? Sudditanza a una notizia lanciata con grande forza mediatica?

I fatti sono molto semplici: si sono fatti dei passi avanti per l’uso di un farmaco basato sulla proteina Tat da utilizzare per ridurre ulteriormente la carica virale nelle persone già sieropositive e i ricercatori dello studio ritengano che vi sia la possibilità che in futuro si possa ottenere il controllo dell’infezione senza ricorrere, per un periodo, agli antiretrovirali, ma utilizzando solo questo farmaco. Si sta parlando di un’ipotesi da verificare attraverso futuri trial clinici.

Nulla quindi a che vedere con un vaccino che, come tutti sanno, serve per evitare l’infezione, non per curare le persone sieropositive. In questo caso invece si parla di un ulteriore farmaco per controllare l’infezione, non di un vaccino per proteggere persone sane dall’infettarsi. Se lo studio verrà confermato potrà esserci un passo avanti nella terapia, ma la differenza con un vero vaccino è come quella tra la notte e il giorno.

Ora capisco l’amor patrio e la ricerca di uno scoop a qualunque costo; ma un po’ di serietà e di professionalità in più quando si fa informazione sulla salute e sull’Aids non guasterebbero. Anche perché molti giornali e molti siti che usano la parola “vaccino” nel titolo, poi negli articoli spiegano che si parla di terapie per persone già Hiv+. Ma è ampiamente risaputo che vi è una differenza abissale tra il numero di coloro che si fermano ai titoli e di quanti leggono l’intero articolo.

Per capire il danno che si procura con simili strategie comunicative sarebbe sufficiente raccontare le infinite telefonate ricevute ieri da chi era stato condotto a illudersi che finalmente la lotta contro l’Aids era vinta definitivamente.

Un’ultima triste annotazione: possibile che nessun ricercatore impegnato nella ricerca sull’Aids abbia sentito il dovere professionale e deontologico di intervenire pubblicamente a spiegare la situazione? Scriveva Robert Gallo nel testo già citato: “Penso che una lezione da trarre in questo caso sia l’incapacità di agire e di pronunciarsi degli scienziati italiani di primo piano, soprattutto quando potrebbero essere compromessi i finanziamenti per la ricerca scientifica”. Era il 2012, sono passati sette anni e nulla sembra essere cambiato.

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