Nei primi sette mesi il governo gialloverde guadagna 10 punti percentuali rispetto alla somma dei voti, attestandosi a un indice di fiducia del 59%, livello mai raggiunto dai due esecutivi precedenti. Ma la sua tenuta è sempre più “fragile”, anche per le divisioni tra i partiti azionisti ne condizionano la capacità decisionale. Evidente il rovesciamento degli equilibri rispetto al voto del 4 marzo 2018: la Lega è al 33% e partiva dal 17,4, il M5S partiva dal 32,7 e viaggia attorno al 24,9. L’aritmetica del consenso spiega così il crescente “nervosismo” tra i leader e partiti. alleati. Nei numeri si materializza il detto sui due litiganti: Giuseppe Conte scala l’indice di gradimento staccando Di Maio di 10 punti e affiancando Matteo Salvini: oggi il capo del governo è al 60%, un punto in più rispetto a ottobre 2018. E’ la fotografia sullo stato di salute del governo che emerge dal sondaggio Demos per Repubblica a cura di Ilvo Diamanti. Che attesta, su più piani, la “metamorfosi” in corso.

Tiene la fiducia nell’esecutivo
La fotografia certifica un cambiamento nel peso elettorale delle principali forze politiche. A partire dai partiti di governo. Le intenzioni di voto dicono che, insieme, hanno rafforzato la base elettorale della maggioranza: alle elezioni di un anno fa, insieme, superavano appena il 50%, oggi si avvicinano al 59%.  Dalla rilevazione emerge anche una leggera ripresa del Pd che si posiziona al 18%, dunque vicino al risultato del 4 marzo, dopo essere sceso al 16,5 lo scorso ottobre. Forza Italia galleggia intorno al 9% e gli altri stanno ai margini.

Ma ormai è governo verde-giallo
Cambia anche la dinamica interna al governo e ai partiti che lo sorreggono. Secondo le stime di voto, il partito dominante è divenuto la Lega vicina al 34%. Praticamente il doppio rispetto al 4 marzo. Mentre il M5s è sceso costantemente: oggi è appena sotto al 25%, 8 punti in meno rispetto alle elezioni politiche. Quasi 9 sotto alla Lega. Equilibrio che ben spiega le difficoltà crescenti a mantenere solida la maggioranza, nonostante la crescita di consensi la renda sempre più “maggioritaria”. I rapporti di forza segnalati dai sondaggi, non solo di Demos, appaiono profondamente “instabili”. Pressoché rovesciati, rispetto a un anno fa.

I “veri” leader

Gli equilibri sono anche figli della personalizzazione crescente dei partiti e della certificata propensione degli italiani a riconoscere come utile e necessario un leader “forte”. Ma chi è il leader? Da mesi il gradimento di Salvini ha staccato quello verso il “gemello” dei Cinque Stelle Luigi Di Maio. Il gradimento di Salvini, infatti, è saldamente attestato sul 60%: 10 punti sopra Di Maio. Comunque, il leader più popolare dei 5s  anche se è da rilevare come per il 33% dei pentastellati il leader sia proprio Salvini, non Di Maio. Tutti gli altri si collocano più in basso. A (Centro)Sinistra, Gentiloni si conferma il più gradito. Mentre più indietro incontriamo Nicola Zingaretti e, più sotto, Carlo Calenda. Pietro Grasso, leader di una Sinistra ai margini, sul piano elettorale, scende di qualche punto. Ora è al 29%. Matteo Renzi chiude la fila. Ultimo. Poco più avanti, Maurizio Martina. Mentre l’inventore del “partito personale”, Silvio Berlusconi, è ancorato al 30%. Superato, a Destra, (in ogni senso…) da Giorgia Meloni.

 

Il Conte è in corsa
Il premier, Giuseppe Conte. L’unico è a reggere il confronto con Salvini. Anch’egli, infatti, ottiene il 60% dei consensi. In lieve crescita nell’ultimo mese. Un dato significativo, anche se la maggioranza degli elettori intervistati (56%) ritiene che il vero premier non sia lui, ma Salvini. Tuttavia, la credibilità di Conte è in crescita. Oggi, infatti, il 22% degli italiani lo considera il leader del governo: 6 punti in più rispetto allo scorso ottobre. Questa valutazione è condivisa da oltre un terzo degli elettori del M5s. Che lo considera “il Capo”. In misura superiore perfino a Salvini. Seppure di poco. Ma assai più rispetto a Di Maio.

Le incognite a breve, le divisioni interne
“II percorso della maggioranza appare difficile”. Scrive Diamanti. “Anche se l’opposizione ancora non si vede”. In attesa che il Pd, lungo il cammino delle primarie, riemerga dalle nebbie del “partito personale” disegnato da Renzi. I problemi, per il governo, sembrano emergere “soprattutto” dall’interno. Non solo per l’approccio diverso e spesso divergente, fra Lega e M5s, in merito ai temi affrontati. Dalla Tav fino al “reddito di cittadinanza” ma per una questione di leadership, destinata a divenire più incerta e contrastata. Sul secondo il sondaggio fa un focus specifico dal quale risulta che gli italiani confermano quanto pensano da ottobre: resta maggioritario l’orientamento di chi ritiene la misura “utile ma non necessaria” (60% degli intervistati). Posizione che geograficamente “pesa” più al Sud, dove raggiunge la quota di due persone su tre. Tra le diverse categorie sociali, i picchi più elevati si registrano tra gli under30 e, in particolare, tra i disoccupati (70%). Il 43% di chi risiede nelle regioni del Nord-Est lo boccia esplicitamente. “Ma i dubbi investono una quota superiore a una persona su tre in tutte le categorie di lavoratori attivi”.

 

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