In quello che Amnesty International ha definito “l’anno della vergogna”, il 2018, in Iran non si è salvato nessuno. Negli scorsi 12 mesi oltre 7000 persone – manifestanti, giornalisti, studenti, ambientalisti, operai, difensori dei diritti umani, avvocati, attiviste per i diritti delle donne, esponenti di minoranze etniche e religiose, sindacalisti – sono state arrestate, in molti casi in modo arbitrario. A centinaia sono stati condannati a pene detentive o alle frustate e almeno 26 manifestanti sono stati uccisi. Altre nove persone, arrestate in relazione alle proteste contro la crisi economica, sono morte durante la detenzione in circostanze sospette.

Lungo tutto il corso dell’anno ma soprattutto nei mesi di gennaio, luglio e agosto, le autorità hanno disperso con la violenza manifestazioni pacifiche, picchiando manifestanti privi di strumenti di offesa, usando proiettili veri, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua e arrestando migliaia di persone. Complessivamente, nel 2018 sono stati arrestati, sia durante le proteste che nell’ambito del loro lavoro, 11 avvocati, 50 operatori dell’informazione e 91 studenti.

Almeno 20 operatori dell’informazione sono stati condannati a lunghi anni di carcere o alle frustate al termine di processi iniqui. Mohammad Hossein Sodagar, un giornalista della minoranza turca della provincia dell’Azerbaigian, è stato frustato 74 volte nella città d Khoy per aver “diffuso notizie false”. Il coraggioso movimento delle difensore dei diritti umani ha aderito alle proteste, convocate per tutto l’anno nel Paese per manifestare contro le invadenti e obbligatorie norme sull’obbligo d’indossare lo hijabNasrin Sotoudeh, la celebre avvocatessa per i diritti umani che ha assunto la difesa di alcune donne arrestate per aver protestato contro quelle norme, è stata arrestata a sua volta il 13 giugno 2018. Oltre ai cinque anni di carcere che stava già scontando per la sua opposizione alla pena di morte, rischia una condanna a oltre 10 anni per svariati reati contro la sicurezza nazionale.

Lo scorso anno la crisi economica si è acuita causando numerosi scioperi e manifestazioni per rivendicare migliori condizioni di lavoro e chiedere protezione al governo. I ritardi o il mancato versamento dei salari, insieme agli alti livelli d’inflazione, hanno fatto salire alle stelle il costo della vita e sono stati a loro volta motivo di proteste. Invece di venire incontro alle loro richieste, le autorità iraniane hanno arrestato almeno 467 lavoratori tra cui operai delle industrie, insegnanti e camionisti. Altri sono stati convocati per interrogatori, altri ancora sono stati sottoposti a maltrattamenti e torture. Sono state inflitte decine di condanne a pene detentive e 38 lavoratori sono stati sottoposti a un totale di quasi 3000 frustate.

Nelle altre proteste di novembre e dicembre sono stati arrestati almeno 23 insegnanti: otto sono stati condannati a pene detentive da nove mesi a 10 anni e mezzo di carcere, a 74 frustate ciascuno e ad altre pene accessorie. Durante il 2018 la repressione si è intensificata anche nei confronti delle minoranze etniche e religiose, con centinaia di arresti e ulteriori limitazioni all’accesso all’istruzione, all’impiego e ad altri servizi.

Un giro di vite particolarmente aspro ha riguardato la minoranza religiosa dei dervisci gonabadi, il più grande ordine sufi dell’Iran. Dopo il violento scioglimento di una protesta nel febbraio 2018, centinaia di loro sono stati arrestati e oltre 200 sono stati condannati a un totale di 1080 anni di carcere, 5995 frustate oltre che all’esilio interno, al divieto di viaggiare all’estero e a quello di aderire a gruppi sociali e formazioni politiche. Uno di loro, Mohammad Salas è stato condannato al termine di processo fortemente irregolare e messo rapidamente a morte.

Nel corso dell’anno sono stati arrestati almeno 171 cristiani e non meno di 95 baha’i. Centinaia di appartenenti  alle minoranze etniche – tra cui gli arabi ahwazi, i turchi azerbaigiani, i baluchi, i turcmeni e i curdi – hanno subito varie forme di discriminazione e sono state arrestate arbitrariamente. Infine, durante il 2018 sono stati arrestati almeno 63 difensori e ricercatori ambientalisti. Diversi di loro sono stati accusati, senza alcuna prova, di aver raccolto informazioni riservate su aree del paese considerate strategiche, con la scusa di portare avanti progetti sull’ambiente e di natura scientifica. Almeno cinque di loro sono stati accusati del reato di “corruzione sulla Terra”, che prevede la pena di morte.

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