Arriva una prima condanna per il caso Saguto, cioè l’inchiesta sulla gestione dei beni confiscati alla mafia che ha preso il nome dell’ex presidente della sezione misure di prevenzione di Palermo. La sentenza arriva alla fine del processo celebrato col rito abbreviato al tribunale di Caltanissetta nei confronti di due magistrati.  Il gup Marcello Testaquadra ha condannato il giudice Fabio Licata a due anni e 4 mesi per falso materiale: si tratta, in sostanza, di tre firme in calce a tre provvedimenti di Silvana Saguto.

Licata, giudice a latere della presidente delle misure di prevenzione, è stato invece assolto per abuso d’ufficio e per rivelazione di segreto d’ufficio. Il giudice era accusato di avere nominato il figlio di un altro magistrato imputato, Tommaso Virga, si richiesta della Saguto e perché avendo saputo dal pm Dario Scaletta dell’indagine di Caltanissetta, ne avrebbe messo a conoscenza la presidente. Le accuse nei confronti di Scaletta erano state già archiviate dalla procura di Milano, mentre Licata è stato oggi assolto per non avere commesso il fatto.

Il giudice Virga (ex componente del Csm) era invece a processo, sempre in abbreviato, per due casi di abuso d’ufficio che riguardavano proprio la nomina del figlio Walter in alcune procedure di prevenzione:  è stato assolto da tutte le accuse perché il fatto non sussiste. I pm Claudia Pasciuti e Maurizio Bonaccorso avevano chiesto una condanna a tre anni per Licata e ad un anno e sei messi per Virga.

“Questa è la prova che Licata non era parte di quell’entourage definito dalla stampa come ‘il cerchio magico della Saguto, ne risulta invece completamente estraneo: il tutto si riduce ad un paio di sigle”, commenta Marco Manno, difensore del magistrato.  Il gup Testaquadra ha inoltre disposto l’invio degli atti alla procura: da una perizia sarebbe infatti emersa una quarta firma del giudice Licata. Disposto anche risarcimento per l’Agenzia Nazionale per i beni confiscati alla criminalità organizzata, la presidenza del consiglio dei ministri, il ministero della giustizia, Gabriele, Filippo e Vincenzo Rappa da liquidare in sede civile.  Gli ultimi sono tre imprenditori ai quali  è stata riconosciuta una provvisionale di 10mila euro ciascuno. Il loro patrimonio venne sequestrato con un decreto di sequestro firmato anche dalla Saguto: quella sigla però era falsa e sarebbe stata apposta da Licata. Saguto, infatti, non era in tribunale ma da quell’atto risultava al lavoro. La difesa ha sempre sostenuto che dalle perizie non emerge alcuna condotta a carico di Licata.

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Caltanissetta, due pm che indagavano sulla latitanza di Messina Denaro a processo per rivelazione di segreto

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