A ridosso dei 20 anni, ieri, dalla scomparsa di Fabrizio De Andrè, rischiamo – almeno qui in Italia – di dimenticare un’altra importante ricorrenza. Usciva infatti 50 anni fa Led Zeppelin, anche conosciuto come Led Zeppelin I: primo folgorante disco in studio di Jimmy Page e compagni (con quest’ultimo che, tanto per non lasciar nulla per strada, spegneva 75 candeline qualche giorno fa). Registrato pochi mesi prima presso quegli Olympic Studios di Londra che avrebbero negli anni ospitato, tra gli altri, artisti del calibro di Cure, Queen, Paul McCartney, Brian Eno, Traffic, e chi più ne ha più ne metta. Il debutto dei Led Zeppelin richiese 36 ore totali di lavorazione (mix incluso) a fronte di un investimento di 2000 sterline.

Giunto sul mercato con l’aplomb di un fulmine a ciel sereno, Led Zeppelin I non faticò a imporsi fin da subito, e per copie vendute e mettendo d’accordo critica e riviste di settore: al gruppo inglese, che l’hard rock moderno lo ha inventato dettandone i canoni partendo da questo stesso album, va riconosciuto il merito di avere cambiato la musica dell’ultimo mezzo secolo senza avere, in fin dei conti, inventato niente dal nulla. Buona parte delle canzoni qui contenute rappresenta infatti una splendida reinterpretazione del meglio del repertorio blues e folk degli anni addietro: addirittura, il brano Dazed And Confused sarà oggetto, più avanti, di una curiosa disputa tra il già citato Page e Jake Holmes, risolta poi nel 2011 con un accordo extragiudiziale a seguito del quale il secondo verrà riconosciuto come l’autore originale del pezzo (cosa questa confermata indirettamente dal bassista John Paul Jones: che ricorda il brano come il primo mai provinato dal gruppo).

Dallo stile batteristico percussivo (e, anche per questo, avveniristico) del mago delle pelli John Bonham, al chitarrismo seminale e versatile dell’ex Yardbirds, passando per il doppio ruolo di bassista e tastierista di Jones fino ad arrivare al cantato eclettico di Robert Plant, viene difficile spiegare i Led Zeppelin se non come uno dei rari (e per questo unici) esempi di unità musicale che viaggiava oltre la semplice sommatoria delle singole parti che la componevano.

Non c’è Greta Van Fleet che tenga, a cospetto di un gruppo che riuscì nell’impresa di dare una nuova veste al rock dove altre band, coeve e comunque di livello, avevano in larga parte fallito finendo per andare a sbattere contro un muro. A loro va riconosciuto allo stesso modo il merito, se non il primato, di avere sfornato quattro album (i primi) tutti fondamentali: fattore questo che basterebbe da solo per ipotecare nei secoli la nostra considerazione, che è già di per sé infinita, nei loro confronti.

Con questo, e i dischi successivi, nasceva non solo una nuova stella nel firmamento musicale (già molto popolato in quegli anni) ma, più in generale, il rock così come lo conosciamo oggi: è infatti evidente, più o meno ovunque, l’onda lunga dei Led Zeppelin in qualsiasi cosa prodotta, nel genere, di lì in poi. Alla stessa stregua di Black Sabbath, debutto omonimo di Ozzy Osbourne e compagni uscito neanche un anno dopo, questo disco segna un prima e un dopo evidenti. Senza di loro, la storia non sarebbe la stessa e noi non saremmo qui a raccontare di canzoni e album dei quali vale la pena, sempre e comunque, cogliere qualsiasi pretesto utile si presenti su strada per parlarne ancora e ancora e ancora.

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