di Paolo Bagnoli

In un Paese nel quale la menzogna è assurta ad arte di governo bisognerà pure che si alzi – per quanto isolata, molto isolata – qualche voce di protesta e di denuncia. L’Italia è un Paese poco abituato indignarsi; non è nella sua indole a dimostrazione di quanto forte sia ancora il suo stacco dalla modernità. I nostri succhi gastrici sono immensi, sempre pronti a giustificare, a pietosamente comprendere, ad aspettare che venga il meglio, a cercare comunque di salvaguardare l’interesse privato e, così, tirare avanti. E pure, quasi sempre e comunque, ad avere simpatia per i furbi poiché da noi la furbizia è sintomo di bravura. Ma la furbizia, applicata alle cose pubbliche, alla politica, provoca – e nemmeno tanto alla lunga – danni seri, sia a chi la pratica che a chi la subisce. È chiaro che nelle pratiche pubbliche occorra un pizzico di furbizia, ma si tratta di un qualcosa di diverso rispetto a quella cui assistiamo oggi, poiché l’uso dell’accortezza corrisponde per lo più a conoscenza del mestiere e anche al senso di responsabilità. Quando la furbizia è un tutt’uno con la menzogna vuol dire che solo a quest’ultimo fattore è ridotta la pratica politica: al realismo si sostituisce la truffa e siamo alla bancarotta della gestione politica.

L’Italia sovranista-populista-demagogica che ha legittimato questo governo – peggiore di ogni possibile immaginazione – è, infatti, sull’orlo della bancarotta non solo metaforicamente. Una compagine di governo – improvvisata e ridicola nella componente grillina, arrogante e nevroticamente autoritativa in quella leghista – sta incartando il Paese in una lunare drammaticità iperbolica e irrealistica per affermare, in un continuo braccio di ferro, il prevalere del messaggio demagogico dell’una rispetto a quello, altrettanto demagogico, dell’altra. E poiché la realtà mediatica costituisce il campo di estrinsecazione di tale duello, bisogna riconoscere che la sua gestione da parte leghista è ben più efficace di quella grillIna; tanto ansiosa di essere efficace nello spasmo continuo di rubare il tempo a tutti e primeggiare incurante se si possono creare dei danni. Salvini, l’uomo che le televisioni riprendono sempre in cammino, di felpa vestito o in camicia e sempre con il telefono attaccato all’orecchio, è il vero grande protagonista di questa rappresentazione. Attraverso la collezione di felpe che ha, indossa il costume di scena. A un popolo, quale quello italiano, che ama il melodramma, viene trasmette il messaggio del gesto e della parola che lo accompagna.

Il pensiero gli è materia estranea; ciò che conta è la suggestione e il coinvolgimento emotivo che poi diviene consenso politico. (…) Salvini non è Mussolini, ma le sue innumerevoli felpe hanno lo stesso significato simbolico che avevano le tante divise della buonanima. In fondo è la stessa Italia provinciale, sagraiola e un po’ ridicola. I leghisti, nati come antitaliani, sono oggi i più fedeli rappresentanti dei mali storici della nostra indole. (…) Rispetto a Salvini, Di Maio fa tenerezza; con lui tutti i suoi. La ricaduta sul Paese del loro fallimento avrà ripercussioni pesanti. Infatti, oltre ai danni materiali, occorrerà cercare di risanare quelli morali e culturali. In questi mesi di governo Di Maio è stato l’alfiere degli annunci, dichiarazioni e rappresentazioni che non avevano né babbo né mamma. La falsificazione della realtà è stata assunta a canone dell’agire grillino.

Un esempio per tutti: il 27 settembre la compagnia pentastellata gridava – a dimostrazione che l’insegnamento di Beppe Grillo non è stato invano – con squadristica rappresentazione di conquista del palazzo irrompendo sul balcone della sede del governo, che la manovra sarebbe stata al 2,4%. Il governo del popolo, tramite la manovra del popolo, con un presidente del consiglio avvocato del popolo, aveva sconfitto la miseria. Di conseguenza, giù a testa bassa e lancia in resta contro l’Europa; lui e Salvini spargenti dichiarazioni irridenti e maleducate contro la Comunità. Si sono viste come sono andate le cose. Hanno fatto come i pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati. Tria e Conte sono sembrate come due partite Iva nello studio gialloverde “Salvini-Di Maio”; chissà se bisognerà fare pure un decreto dignità? Ragionando in termini pietosi, il presidente del Consiglio e il ministro del Tesoro ne avrebbero bisogno. (…) Il popolo, la storia ce lo dice, si rovina spesso con le sue stesse mani. La democrazia però, è superiore a ogni altro reggimento politico poiché permette di rimediare agli errori; permette di ritornare sui passi sbagliati che sono stati compiuti. Bisogna volerlo, naturalmente. Certo che in un Paese senza opposizione le cose sono maledettamente complicate.

Clicca sull’icona per scaricare gratis la rivista

 

Articolo Precedente

Manovra, la renziana Bellanova vs Casellati: “Mi dice ‘zitta’, linguaggio machista”. E la presidente: “Rispetti gli altri”

next
Articolo Successivo

Manovra, la corsa contro il tempo blinda la maggioranza. Tra rinvii e spintoni al Senato l’ok arriva a notte fonda: 167 sí

next