Fiesole, che dall’alto in basso domina Firenze, capoluogo della regione più conservativa del pianeta, induce stati d’animo di galleggiamento e bassa pressione, che costringono in una dimensione statica, coercitiva e rigorosa chi, come me, si ritrova a doverci sopravvivere.

Giusto ieri, attorno alle 13,30, mentre percorrevo in auto la salitina di via Nuova delle Molina, una scorciatoia asfaltata che collega la Faentina con la fiesolana via dei Bosconi, mi accorgo che dalla parte opposta della straduzza, una Megane occupa tre quarti della careggiata. Ragion per cui, sia per non rischiare di strisciare la fiancata della mia vettura, sia per cortesia nei confronti della signora al volante, retrocedo per una decina di metri, ma la signora sulla Megane affretta la manovra, finendo con la sua vettura sul fianco della mia Yaris.

Mentre scendo dall’auto per constatare il danno, la passeggera della Megane balza fuori dalla sua e mi si rivolge aggressiva: “Ma come guida mascalzone… guardi come ha ridotto la fiancata dell’auto… lei è un bugiardo…” e chi più ne ha più ne metta.

Nel mentre sopraggiunge uno dei tanti suv che infestano persino le strade di campagna, dal quale smontano un paio di uomini e quattro o cinque donne che, dopo un sommario esame dell’incidente, concludono che la responsabilità non può esser che mia. Dopodiché, visto & considerato che la straduzza è ostruita dalle due auto in questione, se ne vanno prendendo la via di fuga dei campi, e sopraggiungono altri fan della signora che finalmente si decide a scendere dalla sua vettura.

Alle 13,40, dieci minuti dopo l’impatto, si sono formate due brevi code di auto e qualcuno chiama i vigili urbani di Fiesole i quali, per compiere sei chilometri circa, sopraggiungono un’ora dopo, nella fattispecie di due sceriffe con tanto di pistole, brache attillate, centuroni neri e stivaletti del medesimo tenore. Mentre cerco di spiegar alle madame la dinamica dell’incidente, le sceriffe delimitano le ruote delle due vetture con l’apposita vernice rossa, e quindi procedono al rilevamento fotografico della scena del crimine con una puntigliosità che nemmeno a Los Angeles.

“Patente, libretto e certificato d’assicurazione” – mi intima la prima vigilessa, mentre la seconda spalanca il posteriore dell’auto d’ordinanza.

“Signorsì signora” – rispondo porgendo i documenti e dopo un quarto d’ora, mi rivolgo alla stessa vigilessa ancora alle prese con i documenti, chiedendole il nome e cognome dell’unica testimone.

“Non vorrei – tento di spiegarle – che un domani una sconosciuta qualsiasi venisse a testimoniare su qualcosa che non ha visto”.

“Le rendo noto che chiunque è libero di venire al comando a testimoniare” – mi risponde arcigna commettendo, credo, un primo abuso di potere, dovuto al fatto che in quel momento sulla scena ci sono diverse donne, mentre nel momento dell’incidente, oltre a me e all’investitrice, c’era solo la petulante amica della conducente.

Mentre col cellulare fotografo la scena, la stessa sceriffa interviene una seconda volta commettendo il secondo abuso: “Qui lei non può permettersi di fotografare!”.

“E’ lei che non può permettersi di impedirmi di fotografare” – le rispondo seccamente.

Il vento gelido continua a sferzarmi gli occhi, uno dei quali è reduce da un intervento chirurgico, per non dire di un’altra convalescenza in seguito a un precedente intervento. E mi rivolgo alla sceriffa ancora alle prese con la burocrazia documentale.

“Ci vorrà ancora molto?” – mi informo urbano.

“Ha fretta?” – fa lei senza distogliere lo sguardo dal verbale.

“Senta  – sono qui da un’ora e mezza e non vorrei sentirmi male”

“S i  s e n t e  m a l e – scandisce lei, ordinando all’altra sceriffa di chiamare un’ambulanza!”.

“Ma quale ambulanza del cazzo…”

“… non si esprima in questi termini!”

“Io mi esprimo e scrivo come mi pare…” – ribadisco udendo l’altra vigile, che al cellulare sta dettagliando i motivi della chiamata al pronto soccorso.

“… è molto nervoso e offende anche…”.

Dopo dieci minuti sopraggiunge un’ambulanza della Fratellanza Popolare delle Caldine, una frazione ai piedi di Fiesole, dalla quale smontano due giovani volontari in tuta arancione. E mentre uno dei due mi infila nell’indice un misuratore di pressione, spiegandomi che quel che sta facendo dipende dal protocollo che è tenuto ad applicare, l’altro mi chiede se sono teso.

“E lei che cosa ne pensa?” – rispondo.

Sono ormai passate le tre quando le due amazzoni invitano me e la proprietaria della Megane a spostare le auto… ma nessuna delle due, a parte un graffietto sulla mia portiera e una flebile striscia di vernice su quella dell’altra vettura, riporta un danno degno di questo nome.

Mi guardo attorno e rivolgendomi alle vigilasse applaudo:

“Bene, brave, grazie & prego – e poi, rivolto ai numerosi astanti – potete andare, lo spettacolo è finito”.

Morale della favola. Un’arteria secondaria rimane paralizzata per quasi due ore a causa di un malinteso provocato da un’estranea, la quale non contenta provoca l’intervento di una forza pubblica e di un mezzo di soccorso, sottraendoli a chiamate più urgenti, causando dispendio di energie, carburante e quant’altro. Per tentare di chiarire quanto sopra si sprecherà altra energia, denaro e tempo, in un contesto, con particolare riferimento a quello fi/renzino, che detiene il primato del consumo di cocaina, di psicofarmaci & quant’altro.

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