Dopo due mesi di attesa, il Consiglio dei ministri ha approvato definitivamente il decreto legge sulle semplificazioni ma, tra le norme stralciate, c’è anche quella sui criteri del cosiddetto “end of waste“, ossia la “Cessazione della qualifica di rifiuto“. Si tratta del processo di recupero al termine del quale un rifiuto non viene più definito tale, ma diventa prodotto o materiale da poter mettere in commercio e utilizzare al posto delle normali materie prime. Un pezzo importante dell’economia circolare. Contrariamente a una prima versione circolata giorni fa, il testo definitivo non contiene le disposizioni più volte annunciate dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa per risolvere il problema del blocco delle autorizzazioni degli impianti di riciclo, imposto da una sentenza del Consiglio di Stato.

Dal ministero fanno sapere che la norma in questione non è stata inserita “perché aveva bisogno di approfondimenti parlamentari che stanno proficuamente arrivando dai tavoli di lavoro tra CameraSenato” e sarà inserita nel passaggio al Senato della manovra di bilancio, come ha confermato venerdì lo stesso Costa: “Non poteva andare nel Dl semplificazioni perché non c’era un’emergenza. Quindi è nella legge di bilancio con un emendamento. Io mi aspetto che i parlamentari lo votino”. A ilfattoquotidiano.it risulta che sulla questione ci siano diverse scuole di pensiero, tra chi vorrebbe far rientrare nella norma solo poche tipologie di impianti e chi invece farebbe rientrare diverse categorie. Di fatto, almeno in questa fase, sulla questione c’è molto riserbo.

Un testo transitorio – In realtà la norma in questione dovrebbe essere transitoria, nell’attesa che vengano approvati i decreti sull’end of waste settore per settore. Norme ad hoc per cui aspettano da anni le imprese italiane che hanno investito nel riciclo. “Basti pensare che ad oggi – spiega a ilfattoquotidiano.it Andrea Fluttero, presidente di Unicircular, l’Unione delle imprese dell’economia circolare – esistono due regolamenti europei, che riguardano il vetro e il metallo e due decreti nazionali specifici, che riguardano invece il combustibile solido da rifiuti e il fresato di asfalto. Altri sono in fase di lavorazione, come quelli su pannolini, pneumatici e materassi, tanto per fare qualche esempio”. In pratica, stando alle norme, qualsiasi altra cosa venga riciclata resta comunque rifiuto e non può essere venduta. Come si è fatto finora? Per anni tutti gli altri impianti hanno lavorato sulla base di autorizzazioni regionali o provinciali, su delega delle regioni, rilasciate caso per caso. “L’altra modalità per ottenere l’autorizzazione – continua Fluttero – è quella di una procedura semplificata, che vale solo per gli impianti più piccoli e per alcune tipologie di lavorazioni e prodotti elencate in un decreto ministeriale del 1998, che quindi risulta quantomeno anacronistico rispetto ai cambiamenti degli ultimi decenni”. Le cose, comunque, sono andate così. Fino a quando una sentenza del Consiglio di Stato ha bloccato le autorizzazioni.

La sentenza che ha paralizzato il settore – Il problema è sorto quando a Spresiano (Treviso), nel 2017, è stato inaugurato il primo impianto al mondo in grado di trasformare pannolini e assorbenti in svariati prodotti, dagli arredi urbani ai cavi sottomarini. L’impianto è della Fater Smart, che fa parte della Fater Spa (joint venture paritetica tra Procter & Gamble e Gruppo Angelini, che produce le linee Pampers, Lines e Tampax) e si trova nella sede di Contarina Spa, società che si occupa di gestione e raccolta dei rifiuti in 50 comuni del bacino Priula in provincia di Treviso. La società Contarina aveva chiesto alla Regione Veneto un’autorizzazione all’impianto e che fosse lo stesso ente a stabilire i criteri end of waste, secondo i quali un materiale può essere definito prodotto e non più rifiuto. La Regione Veneto, però, ha risposto che non poteva stabilire i criteri perché non esiste alcun regolamento europeo né alcun decreto nazionale in merito. La questione è arrivata al Tar, che ha dato ragione alla società trevisana, ma il Consiglio di Stato ha ribaltato il parere del Tar. Il 28 febbraio 2018, con la sentenza 1229, ha stabilito che non spetta alle Regioni decidere con autorizzazione ordinaria quando il riciclo può dirsi completato e quando i materiali prodotti dal riciclo possano essere considerati ‘materia prima secondaria’ e non più rifiuti. Questo potere compete in primis all’Europa e poi allo Stato. In pratica la sentenza ha impedito il rinnovo delle autorizzazioni esistenti degli impianti di riciclo o il rilascio di nuove, in mancanza di norme nazionali o europee che stabiliscano i criteri tecnici ‘end of waste’. Così ciò che esce dall’impianto considerato un fiore all’occhiello del nostro Paese (e che è valso a Fater Spa il riconoscimento Legambiente di ‘Circular Economy Champion’, conferito direttamente dalla Commissione Europea), continua paradossalmente a essere considerato rifiuto e, quindi, non può essere venduto.

La paralisi nel mondo del riciclo – Ad appena un mese dal pronunciamento del Consiglio di Stato a lanciare l’allarme sul rischio “di paralisi per le attività di raccolta e riciclo dei rifiuti” è stato proprio Fluttero, che ha lanciato un appello al ministero dell’Ambiente perché si scongiurassero “nuove situazioni emergenziali in tutta Italia connesse alla gestione dei rifiuti”. Lo stesso ministro Costa, a più riprese, ha parlato nei mesi scorsi della necessità di accelerare l’approvazione dei decreti sui criteri ‘End of waste’, definendoli “uno dei punti principali per consentire all’economia circolare di avviare le proprie filiere, in particolare quelle legate al recupero di risorse’. Nel frattempo, però, la sentenza del Consiglio di Stato ha reso necessaria un’accelerazione su una norma transitoria che sbloccasse le autorizzazioni fino a quando non fossero stati approvati i decreti settore per settore. Nella bozza del decreto di semplificazione,  l’articolo 21 reintroduceva la possibilità per gli enti deputati al rilascio delle autorizzazioni di stabilire ‘caso per caso’ i criteri di cessazione della qualifica di rifiuto. Per armonizzare il rilascio delle singole autorizzazioni sull’intero territorio nazionale il ministero dell’Ambiente avrebbe individuato con un nuovo decreto i criteri generali, anche relativi alle verifiche in ingresso sui rifiuti e ai controlli da effettuare sulla sostanza o sull’oggetto a seguito dell’operazione di recupero, per l’adozione delle autorizzazioni.

Le perplessità degli imprenditori – “Eppure – spiega Fluttero – nell’articolo 21 poi stralciato dal decreto sulle semplificazioni – venivano salvate le autorizzazioni rilasciate entro la data di approvazione del decreto stesso e non quelle che sarebbero scadute successivamente, né ovviamente le nuove. Una limitazione che lascia fuori centinaia di aziende che in questi anni hanno investito in economia circolare nel nostro Paese, il cui impegno e i cui risultati raggiunti chiediamo di tutelare”. Secondo il presidente di Fise-Unicircular “se non si pone rimedio alla lacuna normativa con una norma ‘ponte’ che consenta alle regioni di fissare i criteri in via provvisoria con le autorizzazioni – ha spiegato Fluttero – si rischia, considerata l’emergenza impiantistica in cui ci troviamo (aggravata dai roghi sempre più frequenti) di compromettere irreparabilmente non solo il settore del riciclo, ma l’intero ciclo della gestione dei rifiuti, con gravi danni per tutta la collettività”.

Smantellato il Sistri – Ciò che non manca, invece, nel Decreto Semplificazione è la norma che cancella il Sistri (a decorrere dal 1 gennaio 2019), il sistema di tracciabilità dei rifiuti sviluppato e gestito da Finmeccanica che dalla sua istituzione, nel dicembre 2009, è costato allo Stato e alle imprese circa 200 milioni, senza considerare le spese indirette, ma che non è mai entrato effettivamente in funzione. Anzi, si è rivelato, come ha scritto la Cna in una indagine condotta tra 1700 imprese “un sistema informatico basato su una tecnologia di difficile utilizzazione o addirittura malfunzionante”. Il vecchio sistema dovrà essere sostituito da un modello di gestione “in house” affidato al ministero dell’Ambiente, che dovrebbe essere operativo al massimo entro tre mesi. Fino alla sua piena operatività, i titolari soggetti alla tracciabilità dovranno continuare a usare lo stesso sistema utilizzato ora, ossia quello cartaceo che, ha assicurato il ministro Costa in un videomessaggio su Facebook “esisterà per il tempo tecnico” necessario a “realizzare il nuovo sistema”. A riguardo, il Ministero ha già dato mandato all’Albo nazionale gestori ambientali di avviare una serie di consultazioni con le associazioni di categoria con l’obiettivo di digitalizzare gli adempimenti cartacei.

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