“Disastro plurimo”. Ci risiamo. La Valle del Sacco è di nuovo in allarme. Negli ultimi giorni, l’omonimo fiume che attraverso la provincia di Frosinone si è riempito di una schiuma bianca, evidente reazione – come appurato anche dai primi esami dell’Arpa Lazio – a uno “sversamento straordinario” e “sostanzioso” di detergenti ed emulsionanti. I campioni fin qui analizzati hanno fatto registrare la presenza di agenti inquinanti (cosiddetti “tensioattivi”) superiori di ben 8 volte il consentito. E così torna la paura in un territorio dove da almeno 20 anni si muore in percentuali superiori alla media nazionale (+250% di tumori nel 2015) e nel quale per un periodo del decennio scorso gli allevamenti e le coltivazioni avevano subito lungo stop. Secondo i tecnici dell’Agenzia regionale, lo sversamento sarebbe avvenuto fra il 23 e il 24 novembre. La procura di Frosinone ha aperto un’inchiesta per disastro plurimo, coordinata direttamente dal procuratore Giuseppe De Falco ed ha ordinato immediati rilievi per venire a capo di quanto sta accadendo. I carabinieri forestali, insieme ai tecnici dell’Arpa, da giorni stanno scandagliando le zone più a nord del fiume, all’altezza del Comune di Ceccano, risalendo sino al fiume Alabro dove sono state trovate tracce degli stessi solventi, “restringendo l’area potenzialmente interessata dallo sversamento”. Delegate anche le Polizie Locali dei vari Comuni.

INDICE PUNTATO CONTRO LE FABBRICHE
“Ci sono delle aziende criminali che sversano nel fiume Sacco e nel depuratore dell’Asi. E siccome il depuratore non può trattare queste sostanze, esse passano al fiume creando la schiuma bianca”. Roberto Caligiore, sindaco di Ceccano, da giorni sta seguendo le operazioni degli inquirenti. E in queste sue parole è sintetizzata la pista sulla quale stanno lavorando carabinieri e tecnici regionali. Nelle ultime ore, proprio i Forestali hanno trovato un “bypass” all’altezza del depuratore del Consorzio Industriale Asi della Valle del Sacco, nient’altro che un tubo che consente di superare l’ostacolo del depuratore e scaricare in acqua il materiale inquinante. In questa fase, gli inquirenti hanno scandagliato “notte e giorno” la posizione di almeno 20 aziende della zona e passato al setaccio i numerosi scarichi – alcuni dei quali abusivi – presenti lungo le rive del Sacco e dell’Alabro, a quanto pare tutte appartenenti all’Asi. I magistrati – che per il momento mantengono il massimo riserbo sulle indagini – avrebbero già alcuni elementi per capire chi ha sversato almeno una parte dei solventi, ammesso che la fonte inquinante sia soltanto una. Nel mirino ci sarebbe proprio la società proprietaria del terreno dove è stato ritrovato il marchingegno di elusione.

LA RELAZIONE DELL’ARPA
Allarmante la prima relazione che l’Arpa Lazio ha fornito ai magistrati. “I risultati preliminari – si legge nel documento firmato dal dirigente del Servizio di Frosinone, Sergio Ceradini – hanno evidenziato la presenza di elevate concentrazioni di tensioattivi, che si ritiene possano aver determinato la formazione della enorme quantità di schiuma”. Per tensioattivi, si intendono “composti chimici di origini antropica utilizzati come detergenti ed emulsionanti, sia per usi domestici che industriali, ad esempio preparazione di cosmetici, inchiostri, pesticidi e adesivi, nel decapaggio dei metalli e nell’industria tessile”. In particolare, “i primi esiti analitici hanno fatto emergere elevate concentrazioni pari a 16 mg/l e a 10 mg/l”, quando “i limiti per il parametro è pari a 2 mg/l per lo scarico in acque superficiali e 4 mg/l per lo scarico in fognatura”. Dalle quattro alle otto volte il consentito, quindi.

IN ATTESA DELLE ISTITUZIONI
Il rischio di un grave inquinamento di tutto il sud del Lazio è fortissimo. “Il fiume Sacco – come ricorda il presidente di Legambiente Lazio, Roberto Scacchi – oltre a ricevere affluenti come l’Alabro, si immette nel corso del fiume Liri che poi arriva nel Garigliano, fiume che solca il confine tra Lazio e Campania e sfocia nel mar Tirreno a Minturno. Un bacino idrografico che è il secondo del Lazio”. Nel 2006, all’indomani del ritrovamento di decine di carcasse di mucche lungo le rive del fiume, il governo Prodi decise di nominare l’allora presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, commissario dell’emergenza, riversando da allora nelle casse regionali almeno 20 milioni di euro di fondi per la bonifica, mai davvero partita, nonostante le promesse delle amministrazioni di turno. “Dopo un declassamento negli anni passati, siamo riusciti ad ottenere il riconoscimento di Sin (Sito di interesse nazionale) – ha detto l’attuale governatore, Nicola Zingaretti – La giunta regionale convocherà un tavolo con tutti gli attori istituzionali competenti per coordinare al meglio le iniziative da intraprendere”. Un richiamo anche al ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, da cui si apprende che “stiamo monitorando la situazione e procederemo presto con le bonifiche”.

LA VALLE GIÀ CITATA DA SCHIAVONE
Non solo sversamenti industriali nella storia della Valle del Sacco. Soltanto nel 2013, quando gli atti vennero desecretati, si è venuti a conoscenza sul fronte giudiziario dei traffici che anche la Camorra casalese perpetrava nell’area e in tutto il Frusinate. In particolare, i verbali del 1996 legati all’ex boss e pentito Carmine Schiavone, scomparso di recente, protagonista delle rivelazioni legate alla Terra dei Fuochi del Casertano. “I camion (di rifiuti, ndr) partivano anche dalla Ciociaria, diretti in Toscana, in Germania e nel nord Italia dove caricavano rifiuti tossici e nocivi che poi venivamo smaltiti al sud”, confidò il collaboratore di giustizia. E “quando parlo di sud – sottolineò – per noi Frosinone e Cassino sono il sud e quindi anche lì”, citando sostanze tossiche, come fanghi industriali, rifiuti di ogni tipo di lavorazione sversati nel Sacco e “con la compiacenza di pubblici ufficiali corrotti”.

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