Il pugilato rischia di andare KO, e pesantemente, ancor prima di salire sul ring di Tokyo 2020. Alle Olimpiadi giapponesi, riferisce il New York Times, il pugilato dilettantistico potrebbe non esserci affatto. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) sarebbe intenzionato all’espulsione dell’Aiba (International Boxing Association) dall’elenco delle discipline affiliate. Conseguenza immediata di tale drastico provvedimento sarebbe l’assenza di una delle discipline sportive storiche dai Giochi Olimpici.

Il pugilato fu inserito nel programma dei Giochi sin dal 1904 (a Saint Louis negli Stati Uniti) ed è arrivato sino a quelle di Rio de Janeiro del 2016 con un’unica altra esclusione, a Stoccolma nel 1912, causata dalla legge svedese che bandiva quella disciplina. A mettere a repentaglio la presenza della “noble art” a Tokyo, stavolta, è l’onorabilità dei vertici dell’Aiba, messa in discussione dal CIO che contesta soprattutto il curriculum e la condotta del suo presidente.

Eletto lo scorso novembre, il milionario uzbeko Gafur Rakhimov, è descritto dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti come: “Uno dei principali criminali in Uzbekistan, passato dai furti d’auto al riciclaggio, dalle estorsioni alla corruzione e al traffico di eroina”. A onor del vero l’Aiba è da anni sotto la lente del Cio, almeno sin da quando l’ex presidente, Wu Ching-kuo, cinese di Taiwan, si dimise per uno scandalo finanziario che lo coinvolse direttamente e che portò l’Aiba vicina alla bancarotta. Pare che la nuova gestione abbia in qualche modo appianato i debiti, ma con quali mezzi si chiede il Cio che reclama trasparenza.

Il match tra Cio e Rakhimov continuerà ma a finire al tappeto potrebbe essere la storia del pugilato olimpico che è ricca di personaggi, storie e medaglie. La tradizione cubana con il mitologico Teófilo Stevenson e Fèlìx Savón, tre titoli olimpici consecutivi vinti fra i pesi massimi. Il tris dell’ungherese László Papp, due volte oro nei superwelter e una nei medi. Il diciottenne Cassius Clay (Muhammad Ali) trionfatore a Roma ’60 nella categoria mediomassimi. E ancora tra gli statunitensi, Joe Frazier nel 1964, George Foreman nel 1968 e Ray Mercer nel 1988. Tutti campioni che hanno lasciato un segno nel professionismo.

Nella storia del torneo olimpico, da segnalare anche pugili del recente passato come Lennox Lewis, oro a Seul ’88, Wladimir Klitschko, oro ad Atlanta 1996 o Anthony Joshua vincitore a Londra 2012. Tutti e tre vinsero nella categoria dei supermassimi, quella che vede come più medagliato in assoluto il nostro Roberto Cammarelle, un oro, un argento e un bronzo olimpico per il milanese di origine lucana. L’Italia, appunto, ha raccolto tante gioie con Nino Benvenuti, Francesco de Piccoli, Francesco Musso e Cosimo Pinto negli anni ’60. Patrizio Oliva, Maurizio Stecca e l’indimenticabile Giovanni Parisi negli anni 80. Medaglie pesanti, seppur non d’oro, quella d’argento di Francesco Damiani nel 1984 e le due consecutive, dello stesso metallo, di Clemente Russo nel 2008 e nel 2012.

Una storia che dal 2012 ha aperto un capitolo riservato alle donne ma che adesso rischia di chiuderli tutti con un knock-out tecnico più che un Ko. Il Cio è arbitro unico di questo incontro e ha il “gong” in mano. Potrebbe essere dolorosamente necessaria l’esclusione della boxe dalle Olimpiadi ma la storia dei campioni che abbiamo appena accennato è uno dei pilastri della “noble art”, le vicende di questi ultimi mesi, invece, di nobile, hanno ben poco.

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