La legge finanziaria sarà un’ottima occasione persa per rendere più equo il Servizio sanitario nazionale. È stata infatti rinviata di un anno – cioè alle calende greche, conoscendo i tempi della politica – l’abolizione del cosiddetto super ticket. Di cosa si tratta? Di un piccolo ma odioso balzello introdotto ai tempi dellausterity di Mario Monti: un costo aggiuntivo di 10 euro che tutti i cittadini devono accollarsi ogni volta che chiedono una ricetta al dottore per ottenere la prenotazione di una visita o di un esame. La maggior parte delle Regioni ha adottato l’imposta senza batter ciglio. Solo il Veneto, l’Emilia-Romagna, la Toscana e l’Umbria lo hanno giustamente condizionato al reddito personale, mentre Piemonte, Lombardia e Friuli lo applicano a seconda del tipo di prestazione richiesta.

È un costo iniquo per vari motivi: primo, perché è applicato indiscriminatamente a tutti i contribuenti a prescindere dalle loro entrate (in barba al principio di progressività fiscale, sancito dalla nostra Costituzione); secondo, perché riguarda una delle prestazioni più richieste dal pubblico, le ricette per visite ed esami; terzo, perché incoraggia l’esodo verso il privato: basti pensare al costo dell’esame delle urine, che in clinica privata è di circa 3 euro, mentre nel pubblico – proprio per effetto del super ticket – schizza a 13 euro. Va detto che al legislatore piace andarci giù pesante quando si parla di ticket: pochi ricordano che, con la legge finanziaria del 2007, venne introdotto un ‘contributo’ di 25 euro per gli accessi in codice bianco (cioè i casi non gravi) al Pronto Soccorso: un modo per scoraggiare gli ipocondriaci? Può darsi, ma ebbe anche l’effetto di dissuadere persone realmente bisognose che quella somma non se la possono permettere (le soglie di esenzione dal ticket, infatti, sono molto basse).

È vero che si vive sperando e che l’auspicio di una abolizione del super ticket, nell’anno che verrà, può consolare. Tuttavia, si potrebbe approfittarne – una volta tanto – per ricordarsi dei diritti che spettano ancora e non solo di quelli che verranno, forse, in un lontano avvenire o che sono già persi. Il riferimento, in particolare, è alla lunghezza inaccettabile delle liste d’attesa, che spinge le persone verso la diagnostica e la clinica a pagamento. Si arriva a tre mesi per una risonanza magnetica, fino a dodici per una visita oncologica e fino a tredici per una mammografia. Ebbene, secondo il Piano di governo delle liste, un documento redatto dal ministro della Sanità in collaborazione con le regioni e le province autonome, i tempi di attesa non dovrebbero mai superare i 30 giorni (per le visite specialistiche) o, al più, i 60 giorni (per gli esami diagnostici). Decorsi tali termini, l’utente ha diritto che la stessa prestazione gli sia garantita dallo stesso (o da un altro) medico privatamente, senza costi aggiuntivi rispetto a quelli del ticket già sborsato.

Lo prevede l’articolo 3, comma 13, del decreto legislativo 124/1998 che pone il costo dei visita specialistica o degli esami diagnostici “a carico dell’azienda unità sanitaria locale di appartenenza e dell’azienda unità sanitaria locale nel cui ambito è richiesta la prestazione, in misura eguale, la differenza tra la somma versata a titolo di partecipazione al costo della prestazione e l’effettivo costo di quest’ultima, sulla scorta delle tariffe vigenti”, come si legge nel testo del decreto. Inoltre stabilisce anche che “nel caso l’assistito sia esente dalla predetta partecipazione l’azienda unità sanitaria locale di appartenenza e l’azienda unità sanitaria locale nel cui ambito è richiesta la prestazione corrispondono, in misura eguale, l’intero costo della prestazione”.

Per avvalersi di questa opportunità prevista dalla legge, bisognerà inviare una richiesta via raccomandata al direttore sanitario dell’ospedale indicando dati anagrafici, tipo di prestazione richiesta, data della domanda e impossibilità ad ottenere la prestazione nei tempi previsti dalla legge con la conseguente richiesta che la prestazione sanitaria venga effettuata in regime di attività libero-professionale intramoenia. In pratica, l’azienda sanitaria pubblica gli deve ‘offrire’ la visita o l’esame in tempi rapidissimi e senza ulteriori spese a suo carico. Sarebbe interessante sapere quanti italiani sono al corrente di tale opportunità e, soprattutto, quante Regioni e Asl provvedono a informarli in proposito. Come spesso accade, quando una legge non porta vessazioni ma benefici, il cittadino è sempre l’ultimo a saperlo.

di Francesco Carraro e Massimo Quezel

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