Dopo aver convissuto per più di mezzo secolo con le polveri e i vapori della vicina cokeria, è crollata.

A Taranto ha ceduto un’arcata dell’acquedotto romano del Triglio. L’acquedotto romano si trova sulla destra percorrendo la strada fra il quartiere Tamburi di Taranto e il comune di Statte. Sulla sinistra invece c’è il muro di cinta dell’Ilva. Fra le arcate dell’antico acquedotto e l’Ilva c’è solo la strada.

Oltre il muro dello stabilimento sbuffano le batterie della cokeria, uno degli impianti posti sotto sequestro dalla magistratura ma che attualmente sono in funzione grazie ai decreti salva-Ilva. Un impianto noto per le sue emissioni cancerogene e per gli operai ammalati.

In questi giorni a Taranto vi erano stati forti acquazzoni. E’ noto che gli ossidi di azoto, mischiati alla pioggia, concorrono a sbriciolare monumenti in tutt’Italia. In tutt’Italia l’inquinamento è sotto accusa anche perché danneggia i monumenti. Sotto la lente di ingrandimento dei ricercatori ci sono gli ossidi di azoto, le polveri sottili Pm10 e Pm 2,5 e l’ozono. L’effetto dell’inquinamento sui monumenti di epoca romana è stato evidenziato ad esempio per il Colosseo a Roma: la Soprintendenza archeologica di Roma ha da tempo evidenziato che alcune componenti del Colosseo si sbriciolano, mutando da carbonato di calcio in solfato di calcio.

L’acquedotto romano del Triglio era stato in parte restaurato e da rossastro era ritornato del suo originario colore chiaro, per poi imbrattarsi nuovamente per l’inquinamento. I lavori di restauro non sono mai stati pagati da chi inquinava a pochi metri di distanza. E così si sono tappati il naso e hanno restaurato.

L’acquedotto del Triglio è una delle più imponenti opere di ingegneria idraulica di epoca romana presente nel territorio tarantino. L’Acquedotto era alimentato dalle sorgenti che scaturiscono dal Monte Crispiano (su cui sorge il comune di Crispiano), confluendo nella vallata del Triglio con un sistema di gallerie. La sua destinazione era l’attuale quartiere Tamburi di Taranto, un tempo la zona con l’aria più salubre della città, oggi invece il punto più inquinato. Quando l’acqua arrivava, il rumore, simile a quello di un tamburo, ha dato il nome al quartiere Tamburi di Taranto.

Il quartiere Tamburi, con l’avvento dell’Italsider, si è trasformato da quartiere residenziale per famiglie agiate, con affaccio sugli ulivi e le ridenti campagne, in quartiere operaio dove il PCI superava il 70% dei voti negli anni Settanta. L’acquedotto del Triglio alimentava la fontana di Piazza Fontana nella “città vecchia” di Taranto.

Fra le recensioni online di questo bene storico si legge: “Un antichissimo acquedotto romano praticamente abbandonato e purtroppo in buona parte da restaurare. Ciliegina sulla torta, l’Ilva addossata a questa meraviglia storica e archeologica. Una vergogna, altrove acquedotti romani di questo calibro sarebbero molto più tutelati e valorizzati”.

L’idea della modernità e dell’industrializzazione a Taranto ha portato a sottovalutare il centro storico (il più degradato e cadente della Puglia) e a considerare questo acquedotto romano un reperto storico impossibile da valorizzare, stretto nella morsa dell’area industriale. Taranto non ha più un’identità storica e un’autostima, non si trova nessuna maglietta con il cuore e con la scritta “I LOVE TARANTO”, mentre il Salento pullula di magliette di questo tipo.

A Taranto per molto tempo persone persino istruite hanno pensato che a piccole dosi l’inquinamento potesse immunizzare i bambini. Una sorta di mitridatismo assurdo (il re Mitridate temendo di essere avvelenato prendeva ogni giorno poche gocce di veleno per immunizzarsi) che ha portato all’assuefazione mentale degli stessi genitori, rassicurati dall’ignavia dei politici. La percezione del pericolo è stata azzerata dalla politica finché il movimento ambientalista non ha avuto il merito di associare l’idea dell’inquinamento a quella della salute.

Oggi il crollo dell’arcata dell’acquedotto romano attirerà su Taranto l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale? Se l’inquinamento di questi cinquanta anni ha imbrattato, impregnato e sbriciolato un bene che aveva retto per secoli, cosa sarà successo in questi anni ai polmoni degli abitanti del quartiere Tamburi?

Speriamo che qualche ministro si ponga questa domanda.

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