Seconda giornata sulla Mare Jonio, ci dirigiamo verso sud avvicinandoci alla zona Sar. La situazione è tranquilla, ma il mare è agitato con onde fino a due metri e mezzo; ne approfitto per riflettere sulla nostra missione e mi torna in mente la mamma di “No-more”.

È il 2005, sono al Bottom Hospital, il più grande reparto maternità pubblico del Malawi: 12.000 parti l’anno. In Italia il più grande punto nascita non arriva a 6.500, giusto per farvi capire la situazione. Ci ho lavorato per due anni, gestendo un progetto finanziato dal nostro ministero degli Affari Esteri. Tantissimi neonati, spazi angusti, poco personale. Per non confondere i neonati, appiccicavamo un nastro di carta adesiva sul torace con nome e numero di cartella clinica. Un giorno ho letto “No-more”: una mamma aveva chiamato sua figlia così, “Basta”. Lei è una delle 214 milioni di donne che, secondo Oms, ogni anno partorisce per non aver avuto accesso alla medicina contraccettiva: troppo costosa, troppo lontana da casa. Ciò contribuisce ad allargare il perimetro della barbarica violazione dei diritti umani nel mondo, negando il diritto alla salute sessuale e riproduttiva.

Quando la possibilità di accesso a questi servizi di contraccezione nei Paesi a limitate risorse aumenta è negata, aumenta il rischio di aborto clandestino, di mortalità materna e neonatale e una crescita non più sostenibile della popolazione mondiale. L’eccessiva fertilità rappresenta, secondo l’Unione Africana, uno dei principali motivi di migrazione. Le Nazioni Unite stimano che se i tassi di fertilità rimanessero come gli attuali entro il 2050 raggiungeremo una popolazione mondiale tra i 10 miliardi e gli 11 miliardi, arrivando a 16 miliardi entro fine secolo.

Solo garantendo l’accesso globale ai servizi di medicina sessuale, riproduttiva e contraccettiva, le più ottimistiche previsione delle Nazioni Unite indicano proiezioni della popolazione mondiale di 8 miliardi nel 2050 e di 6 miliardi nel 2100. La riduzione dei tassi di fertilità nei paesi più poveri è la chiave per disinnescare la bomba demografica e garantire uno sviluppo armonico ai cittadini di quei paesi. Esistono già casi di studio da prendere a modello, portati avanti da ministre della sanità africane attraverso la drastica riduzione del costo di tutti i contraccettivi moderni, la formazione degli operatori e trasferimento della gestione dei contraccettivi a lunga durata dai medici alle infermiere e quindi dagli ospedali ai centri di salute, per garantire una maggiore vicinanza tra servizi contraccettivi e popolazione.

Ritengo necessaria una linea politica nuova, che abbia come priorità assoluta la rimozione delle cause di questa tragedia. Un sistema di progetti a supporto della Road map dell’Unione Africana verso il raggiungimento del dividendo demografico in ogni Paese.

L’accesso alla medicina contraccettiva è un diritto umano sancito dal Protocollo di Maputo che contribuisce alla crescita sostenibile della popolazione mondiale avendo un impatto positivo sulla economia e sull’ambiente, raggiungendo il dividendo demografico, definito dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione come “il beneficio che può svilupparsi quando uno stato ha una larga proporzione della popolazione in età da lavoro dovuta alla riduzione del tasso di fertilità e in quella finestra temporale investe adeguatamente in salute, sviluppo, educazione e lavoro attraverso investimenti pubblici e privati, determinando uno sviluppo sostenibile del Paese”.

I leader politici devono legiferare immediatamente per garantire il diritto al family planning, ovvero alla possibilità di pianificare come e quando creare la propria famiglia, in modo che ogni gravidanza sia desiderata e ogni figlio una scelta, nel pieno rispetto dei diritti e delle risorse del pianeta.

Concludo citando Karl Popper: “Dobbiamo fermare l’espansione demografica. Questo è un punto capitale per il mondo intero. Tutto questo parlare del problema dell’ambiente non serve a nulla, se non si affronta la questione reale, la crescita spaventosa della popolazione. Anche su questo problema fondamentale dovrebbero cooperare tutti senza distinzione ideologiche”.

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