Sono scesi in piazza a centinaia, bruciando le bandiere Usa al grido di “morte all’America” e sventolando cartelli con le immagini di Donald Trump ridicolizzato. L’Iran è sceso in piazza contro il presidente degli Stati Uniti Donald Trump nell’anniversario dell’occupazione dell’ambasciata Usa di Teheran e alla vigilia del ripristino delle sanzioni americane dopo l’uscita di Washington dall’accordo sul nucleare. “Saranno le più dure che il nostro Paese abbia mai imposto”, ha ribadito il presidente americano in piena campagna elettorale per il voto di Midterm.

Era il 4 novembre del 1979 quando un gruppo di studenti iraniani, durante la rivoluzione, prese in ostaggio 52 dipendenti dell’ambasciata. Un’ostilità nei confronti degli Stati Uniti che oggi si rinnova. Diversele personalità del paese che si sono riconosciuta nel fronte anti-Usa: dalla guida suprema, Ali Khameni, al presidente Hassan Rohani fino al generale Mohammed Ali Jafari, capo dei guardiani della rivoluzione, e il presidente del parlamento Ali Larijani.

Oltre alle bandiere a stelle e strisce, i manifestanti hanno calpestato e bruciato anche dollari americani. Tra i cartelli mostrati anche uno che rappresentava l’inquilino della Casa Bianchi contorto tra i bracci di una svastica nazista.

“La nazione farà vedere che il ‘signor Trump’ è troppo piccolo per riuscire a mettere in ginocchio l’Iran”, ha detto Larijani. “Il governo non teme le minacce degli Usa”, ha spiegato da parte sua Rohani. “Possiamo superare questa guerra economica e il fallimento del progetto delle sanzioni è imminente”, gli ha fatto eco Jafari, ripetendo quello che è diventato uno slogan della dirigenza iraniana: il Paese ne ha viste tante e ha imparato ad essere autosufficiente, producendo quello che non può importare.

Ieri anche Khameni ha parlato di Trump: “Il presidente americano ha sperperato la credibilità che rimaneva dell’America e della democrazia liberale, andando di pari passo con la rivendicazione di una sorta di autarchia“. La guida suprema ha poi ripetuto il motto della nazione, dando per scontata la sconfitta “dell’obiettivo americano di paralizzare l’economia dell’Iran”. Una scelta, quella di reintrodurre le sanzioni, che sarà operativa dal 5 novembre, cioè dalla vigilia delle elezioni di midterm.

La guerra di logoramento tra Washington e Teheran comunque è destinata a durare a lungo. Ma, anche se oggi l’orgoglio nazionalista iraniano ha prevalso, la crisi economica continua a pesare. Ci vogliono 145.000 rial per un dollaro, mentre un anno fa ne bastavano 40.500. Nei bazar la rivolte di chi non riesce più a fare la spesa sono ogni giorno sempre più diffuse, come lo scorso anno quando la crisi provocò  proteste che si trasformarono in una durissima repressione con quasi 5000 arresti e almeno 25 dimostranti uccisi.

Intanto domani è atteso l’elenco dei paesi che potranno continuare a importare petrolio dall’Iran senza incorrere a loro volta nelle sanzioni Usa. Oggi il segretario di Stato Mike Pompeo, in un’intervista a Fox News Sunday ha rifiutato di dare anticipazioni. L’Europa non godrà delle esenzioni ma l’Italia, insieme a Giappone, India e Corea del Sud, potrebbe essere tra gli otto Stati ‘salvati’.

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