Quando in Senato è arrivato il taglio dei vitalizi, i parlamentari del Pd sono usciti dall’aula senza votarlo, diversamente dai colleghi deputati. Un copione simile, ma senza il lieto fine, si è verificato mercoledì a Bruxelles sul voto per cancellare le pensioni privilegiate degli eurodeputati: un assegno da 1484,70 euro (il doppio, in caso di secondo mandato) che percepiscono al compimento dei 63 anni per il quale non hanno mai versato un contributo, scaricando così sui contribuenti il peso di 20 milioni di euro. Tanto  costerà nel 2019 l’assegno agli “ex” eletti al Parlamento (13.797.000) e membri della Commissione (4.238.000). L’emendamento, manco a dirlo, non passa. Votano a favore in 125, 77 si astengono e ben 457 votano contro. Per uno favorevole, due sono contrari.

Gli esponenti del PD sono rimasti in aula, hanno votato e si sono divisi: sei componenti su 19 – forse guardando alle elezioni di maggio – hanno sostenuto insieme alla Lega l’emendamento al bilancio presentato dai Cinque Stelle per modificare lo statuto e allineare i diritti pensionistici degli eletti ai regimi previdenziali dei normali cittadini degli Stati membri, sia per il calcolo dell’ammontare che per i requisiti anagrafici e contributivi che danno diritto all’assegno. Di fatto, solo l’ultimo di una serie di tentativi inaugurati nel 2014, che contemplano anche una proposta di risoluzione e una lettera-appello al presidente Tajani (rimasta senza risposta). Anche questo, come detto, è andato a vuoto.

Guardando lo statino del voto si nota però un barlume. Oltre ai delegati M5S (Adinolfi, Agea, Corrao, Castaldo, Evi, Pedicini Ferrara, Valli, Zullo, Beghin, D’Amato) anche sei esponenti del gruppo Socialisti Democratici votano a favore della revisione del privilegio insieme a Lega e Cinque Stelle, e sono: Benifei, Bettini, Bonafé, Cofferati, Fernandino e Sclein. Di fatto, una parte del Pd italiano in Europa, seppur minoritaria, si dissocia dalla linea dei colleghi europei e romani, linea che – evidentemente – non paga e crea divisioni interne. Arriva anche il “sì” della Sinistra Unitaria Europea (Gue) con Barbara Spinelli ed Eleonora Forenza.

Ma non basta. Del resto nella stessa delegazione italiana i contrari sono più del doppio dei favorevoli (45 contro 26), con in testa proprio i 19 di Sinistra democratica (Bresso, Briano, Caputo, Chinnici, Costa, Cozzolino, Danti, De Castro, De Monte, Gentile, Giuffrida, Morgano, Mosca, Panzeri, Paolucci, Picierno, Sassoli, Viotti, Zanonato), i 12 “no” di Forza Italia e centristi nel PPE (Cesa, Cicu, Cirio, Comi, Dorfmann, Gardini, La Via, Leontini, Martusciello, Matera, Patriciello, Salini), quindi il niet dei Consiervatori e Riformisti Fitto e Sernagiotto. Ci sono due astenuti; Affronte dei Verdi e Gualitieri di S&d.

La piccola crepa a sinistra infonde però coraggio ai proponenti. “In 19 Parlamenti nazionali degli Stati membri dell’UE non esistono vitalizi e pensioni privilegiati, il Parlamento europeo purtroppo è una eccezione e, votando contro i nostri emendamenti, salva privilegi indifendibili” commenta la delegazione del M5S al Parlamento Europeo. “Noi non ci arrendiamo. La nostra è una battaglia di giustizia ed equità sociale. I politici devono pagare i contributi come tutti gli altri cittadini e percepire una pensione proporzionale a quanto versato”.

Articolo Precedente

Pd, dal cugino di Gentiloni ai giovani dem: gli uomini di Zingaretti per scalare il partito. Con stipendio della Regione Lazio

next
Articolo Successivo

Manovra, rispondiamo all’Ue indagando sul funzionamento della Troika

next