La prima causa del crollo è “dell’uso improprio” del cavalcavia che “ha imposto carichi prossimi alla sua capacità ultima”, determinando “una situazione di carico priva dei consueti coefficienti di sicurezza“. Ma c’entrano anche i permessi di circolazione dei trasporti eccezionali concessi dalla Provincia di Lecco che “risultano incomprensibili in assenza delle indagini promesse da Anas”. Nonché la “delega” ai controlli sui ponti non percorribili che gli architetti della Provincia di Bergamo diedero alla società che aveva richiesto il trasporto eccezionale di bobine di acciaio. “Responsabilità” sono attribuibili alla stessa ditta e all’autista per come svolsero quel trasporto durante il quale il cavalcavia di Annone Brianza crollò il 28 ottobre 2016 provocando un morto e 3 feriti. A perdere la vita fu Claudio Bertini, professore in pensione rimasto schiacciato nell’abitacolo della sua auto sulla quale precipitò un tir caduto dal ponte.
La “cattiva” manutenzione, ma non solo – Ma pure Anas – “responsabile di fatto della manutenzione“, definita di “cattivo stato” – per aver accettato “senza provvedere autonomamente ad una verifica cautelativa della capacità portante” il parere di un ingegnere che dichiarò “l’assenza di problemi statici (…) senza conoscere il progetto e senza richiedere indagini diagnostiche accurate“. È questa la ricostruzione fatta in 77 pagine dal consulente tecnico della procura di Lecco nell’indagine per il collasso del viadotto sulla Strada Statale 36. Fu il primo allarme, al quale sono seguiti una serie di altri crolli, fino a quello del Morandi di Genova, sullo stato di manutenzione dei ponti italiani, in buona parte arrivati alla fine del ciclo di “vita in sicurezza”. Alla luce della tragedia del viadotto Polcevera, nella perizia sull’incidente del 2016 firmata dall’ingegnere Marco Di Prisco, ordinario di Tecnica delle costruzioni al Politecnico di Milano, si aprono una serie di interrogativi, corroborati anche dalle conclusioni della Comissione Ministeriale che relazionò su quel crollo.
Le domande del pm a Di Prisco – Rispondendo ai quesiti posti dal pm Nicola Preteroti (l’inchiesta è poi passata alla collega Cinzia Citterio dopo il suo trasferimento a Bergamo) il professor Di Prisco evidenzia – anche con l’uso di diversi punti esclamativi in più pagine della perizia, depositata nell’agosto 2017 – alcune situazioni paradossali riguardanti la gestione e la manutenzione del cavalcavia. E non esclude che queste possano riguardare anche altri viadotti italiani. Bisogna ripartire dallo scaricabarile di quei giorni tra Provincia di Lecco e Anas. Motivato, secondo il consulente tecnico dell’accusa, ora prossima a chiudere l’inchiesta allargando il numero degli indagati. Perché quelle strade passarono dalla Provincia ad Anas negli Anni Novanta ma il verbale di presa in consegna non sono stati consegnati da Anas e Di Prisco specifica che “pertanto al momento si può ritenere che non sia ancora stata reperita in archivio, ma non si può escludere che non sia mai avvenuta”. La titolarità, insomma, è incerta.
Nessuna “certezza giuridica” sulla proprietà – Anche se Anas, come aveva già chiarito la Commissione, in ogni caso “ha gestito le citate ex strade provinciale, quale la SS 36, indipendentemente dall’avvenuta esecutività dei verbali”. Sulla proprietà, però, resta dubbi e il consulente è lapidario: “Non si può stabilire con certezza giuridica“. Solo dalla concreta manutenzione, di fatto gestita da Anas, se ne desume che “la titolarità” è proprio all’Ente nazionale strade. Anche se “il cavalcavia – scrive Di Prisco – non figura nel registro delle opere di proprietà” e che “le relazioni e le tavole di progetto sono state reperite presso la Provincia e che queste non sono mai state fornite ad Anas nell’occasione degli interventi di ripristino”.
“Il ponte andava declassato” – Una confusione che ha portato ad almeno due conseguenze, secondo la ricostruzione del perito dell’accusa. La prima relativa al passaggio dei carichi pesanti. “Chiunque fosse stato in possesso della relazione di calcolo, avrebbe potuto determinare la categoria del cavalcavia e dedurre con certezza che non poteva essere concesso il transito ad un veicolo eccezionale su un ponte di II categoria costruito negli anni ’60”, scrive il consulente della procura specificando che “sul cavalcavia in questione, come peraltro sulla maggioranza dei ponti dell’intera nazione, non esiste alcun cartello, obbligatorio per legge dal 1980, indicante la categoria e l’anno di costruzione”. Ne derivò quindi un “uso sproporzionato (…) rispetto alle attese di progetto, uso che non avrebbe dovuto essere consentito dalle autorità competenti”.
Confusione fu “causa indiretta del crollo” – La mancanza di una competenza “univocamente determinata” e la “conseguente mancata assunzione di totale e unica responsabilità” per la manutenzione ordinaria e straordinaria possono quindi essere ritenute “una delle cause indirette del crollo“, scrive il consulente dell’accusa. Con riflessi anche nelle “procedure di autorizzazione al transito dei trasporti eccezionali” e nel “mancato coordinamento tra i due Enti durante la grave emergenza che aveva preceduto il crollo”. Esistono altri viadotti in Italia in condizioni simili? Sul punto, Di Prisco, ricorda quando auspicato dalla Commissione Ministeriale che indagò sul collasso, ovvero “un intervento normativo che chiarisca in via generale ed univoca l’attribuzione della responsabilità sui cavalcavia” suggerendo “nell’immediato l’introduzione per ogni singola opera d’arte costituente un’interferenza di uno specifico atto che ne regoli gli oneri di gestione e manutenzione”.
Annone come “classico esempio” – Il ponte crollato ad Annone Brianza, insomma, “costituisce un classico esempio” delle criticità. “È sufficiente rammentare – si legge ancora nella perizia – che Anas ha eseguito in tempi recenti (2007-2009) interventi di ripristino delle travi senza disporre del progetto originario, che avrebbe dovuto rappresentare il primo elemento sui fondare la progettazione degli interventi”. E ricordando come l’ingegnere delegato da Anas ai controlli disse che non c’erano problemi statici pur “non disponendo di alcuna relazione di calcolo”, Di Prisco conclude come quanto accaduto “mostra come sia indispensabile mettere a punto una procedura di intervento a livello nazionale che possa garantire l’efficacia delle indagini di verifica delle infrastrutture e un archivio di dati opportunamente studiato per mitigare il rischio infrastrutturale su tutta la rete di comunicazione”.