Una pena più dura rispetto a quella nel processo di primo grado. È quella inflitta dalla corte d’appello di Milano a Roberto Formigoni, l’ex governatore della Lombardia condannato per corruzione nel processo sul caso San Raffaele-Maugeri. Il Celeste è stato condannato a sette anni e mezzo, mentre in primo grado la condanna era di sei anni. Secondo l’accusa ha ricevuto una serie di utilità, tra cui l’uso di yacht, vacanze e cene, per favorire i due enti con delibere di giunta per circa 200 milioni di rimborsi pubblici. La procura generale aveva chiesto proprio 7 anni e 6 mesi cioè la pena massima per la corruzione in questo caso. É caduta, invece, l’accusa di associazione a delinquere.

I giudici hanno anche dichiarato per l’ex senatore l’interdizione “in perpetuo dai pubblici uffici”. Interdizione che diventerà definitiva in caso di conferma della condanna in Cassazione. Confermata dai giudici, inoltre, la confisca “diretta” da 6,6 milioni di euro a suo carico stabilita dal tribunale nel dicembre del 2016. Confermata anche la provvisionale di risarcimento a favore della Regione Lombardia, parte civile, da 3 milioni di euro che era stata ascritta in primo grado a carico di Formigoni, dell’ex assessore Antonio Simone e del faccendiere Pierangelo Daccò. Questi ultimi due hanno patteggiato nei mesi scorsi. Nelle scorse settimane a carico di Formigoni la Corte dei Conti ha confermato il sequestro di circa 5 milioni di euro.

Il Celeste potrà chiedere i domiciliari – Se la pena dovesse essere confermata anche in Cassazione, l’ex presidente potrebbe chiedere di scontarla in detenzione domiciliare e non in carcere, come prevede la legge per le persone che hanno compiuto i 70 anni di età. Formigoni ne ha 71.  La corruzione, infatti, non è uno dei reati che impedisce agli ultrasettantenni di richiedere di scontare la pena definitiva, se superiore a 4 anni (altrimenti si può richiedere l’affidamento in prova ai servizi sociali), in “detenzione domiciliare ordinaria”.  Tra l’altro, prima che il processo arrivi in Cassazione (30 giorni per le motivazioni e altri 30 giorni per il ricorso scontato della difesa) si dovrebbe prescrivere l’imputazione ‘minore’ che riguarda il capitolo San Raffaele (a fine 2018). Per il capitolo principale ‘Maugerì, invece, i termini di prescrizione arriverebbero fino ad oltre metà del 2019.

L’avvocato: “Non ho parole” – “Sono rimasto senza parole, non ho parole”, è stato l’unico commento dell’avvocato Mario Brusa, uno dei legali di Formigoni. Il sostituto pg Vincenzo Calia e il procuratore aggiunto Laura Pedio – applicato al processo d’appello – avevano sottolineato come l’ex presidente della Lombardia si sarebbe reso responsabile di “fatti gravissimi” inquinando “la sua funzione” e si sarebbe “venduto” in cambio di cene in ristoranti di lusso, viaggi e vacanze a cinque stelle fino ad un totale di 6,6 milioni di euro. Come contropartita dall’ex presidente è arrivata la “copertura globale degli interessi” della Fondazione Maugeri e del San Raffaele. E dal Pirellone, infatti, sarebbero arrivate delibere di Giunta, come una legge sul no profit modificata e il riconoscimento dei fondi per le funzioni non tariffabili, per favorire i due enti con oltre 100 milioni di fondi pubblici.

Le altre condanne – Condannato a 7 anni e 6 mesi anche Costantino Passerino, ex amministratore della Fondazione Maugeri. I giudici della corte d’Appello hanno dichiarato prescritti tutti gli episodi anteriori al novembre del 2010 che gli sono stati contestati. Per lui l’accusa aveva proposto una pena ritoccata al rialzo: 7 anni e 7 mesi di reclusione. Confermata, invece, la condanna per Claudio Farina, accusato di riciclaggio, e rigettato il ricorso di Carla Vites, ai tempi moglie dell’ex assessore Simone che per la stessa vicenda ha patteggiato 4 anni e 8 mesi. La stessa strategia è stata utilizzata anche dal faccendiere Daccò, che ha patteggiato 2 anni e 7 mesi che si sommano alla condanna a definitiva a 9 anni per il crack del San Raffaele, portando così la pena complessiva a 11 anni e 7 mesi.  Era uscito dal processo, patteggiando, anche l’ex assessore Antonio Simone. Pure l’ex governatore aveva tentato di patteggiare prima a due anni e poi a 3 anni e mezzo. L’accordo con la procura, però. è fallito.

“A Formigoni utilità per 6,6 milioni” – Seondo quanto hanno ricostruito le indagini, tra il 2001 e il 2011, dalle casse della Fondazione Maugeri e del San Raffaele sono usciti rispettivamente 70 milioni e 8-9 milioni di euro. Un fiume di denaro che poi era transitato attraverso i conti di società “schermate” con sede all’estero, per poi tornare nella disponibilità di Daccò e Simone e essere messi a disposizione di Formigoni e degli allora vertici del Pirellone. Per lui e per il suo entourage Daccò e Simone hanno organizzato vacanze ai Caraibi, o su yacht in Costa Azzurra e in Sardegna, cene in ristoranti stellati e hanno fatto recapitare intere casse champagne. A questi benefit si aggiungono diverse migliaia di euro di contributi elettorali e una villa in Costa Smeralda venduta da Daccò all’amico storico del Celeste, il commercialista Alberto Perego, a un prezzo decisamente inferiore a quello di mercato. Proprio il professionista si è offerto di acquistare l’immobile che è stato sequestrato dopo la sentenza di primo grado. In cambio, il Pirellone avrebbe approvato diverse delibere di giunta, modificato la legge sul no profit e riconosciuto fondi per le funzioni non tariffabili, per favorire la Maugeri e il San Raffaele con oltre 100 milioni di rimborsi pubblici. Il meccanismo si è interrotto con i problemi finanziari dell’ospedale fondato da Don Verzè, dal quale sarebbero emerse prove “di pagamenti costanti di utilità a Formigoni per 6 milioni e 600 mila euro per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio”.

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