“Abbiamo cercato di fare un’indagine per capire chi stesse mentendo e poi abbiamo depositato i confronti. Che sono stati depositati prima della conclusione del Borsellino bis. Le difese non sono state private da quei confronti”. Lo ha detto il pm Nino Di Matteo al Csm. Il riferimento è per il confronto avvenuto il 13 gennaio 1995 tra il falso pentito Vincenzo Scarantino e i collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera. Il deposito ritardato di quegli atti al processo “Borsellino bis” aveva portato gli avvocati Rosalba Di Gregorio, Franco Marasà e Giuseppe Scozzola a denunciare i pm Annamaria Palma, Carmelo Petralia e lo stesso Di Matteo per “comportamento omissivo”. Anche i magistrati avevano denunciato i legali per calunnia. Nel 1998 il gip di Catania aveva archiviato l’inchiesta sui sostituti procuratori di Caltanissetta in quanto priva di alcun “comportamento omissivo”.

“Noi avevamo il dubbio che Scarantino mentisse – ha ricostruito Di Matteo – Ma avevamo motivo per ritenere che anche gli altri collaboratori di giustizia mentissero. Non depositammo subito quel confronto perché c’era in corso un processo, il Borsellino bis, ma c’era in corso anche un’altra indagine, che poi sarebbe sfociata nel Borsellino ter. Cancemi fino a quel momento era un mentitore sulla strage: negava ogni coinvolgimento sull’assassinio di Borsellino. Solo l’anno dopo confessò in un interrogatorio che aveva partecipato alla strage. E al tempo del confronto Di Matteo viveva ancora la tragica situazione del sequestro del figlio (verrà poi assassinato dai boss e sciolto nell’acido ndr). Avevamo intercettato il pentito con la moglie, e quest’ultima gli aveva detto: non parlare della strage di via d’Amelio. Per questo, oltre che di Scarantino, non ci fidavamo neanche degli altri collaboratori”.

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