Molti personaggi anche di alto livello del nostro panorama politico o mediatico si chiedono tuttora con stupore come possa essere avvenuto che un partito “pilastro” del nostro sistema politico-democratico nazionale abbia potuto in così breve tempo passare da una maggioranza granitica al repentino dimezzamento parlamentare e all’abbandono in massa di fasce elettorali (intere regioni) che erano la colonna portante del partito stesso, oltre che della politica nazionale.

Il responsabile del disastro non è difficile da individuare, è Matteo Renzi, ma cosa ha fatto di così grave da creare uno smottamento così pesante in un elettorato che in decenni di vita politica sembrava inamovibile?

Da soli gli errori politici ed economici commessi da Renzi nei suoi anni alla guida del partito non bastano a definire la vastità del disastro procurato al Pd e all’intera sinistra italiana ed europea. Occorre tener conto del livello nella somma dei poteri istituzionali da lui raggiunti e delle aspettative da lui create con le sue promesse di “rottamazione”.

A livello di potere lui assommava quelli di segretario del partito di maggioranza e quello di presidente del Consiglio. Vale a dire colui che nella nostra democrazia parlamentare controllava il potere legislativo del paese e quello esecutivo (cioè due su tre dei poteri cardine di ogni democrazia!).

Renzi quindi, a quel tempo, decideva personalmente, direttamente o indirettamente, la politicale leggi da fare o cambiare, gli accordi politici ed economici da stringere con gli alleati interni ed esterni del paese, i vertici amministrativi, politici e mediatici di tutte le posizioni pubbliche di maggior potere (lui ha avuto occasione di decidere persino a chi affidare la carica di capo dello Stato, dopo aver “silurato” tutti gli altri maggiori candidati del suo partito). Un potere enorme quello del segretario del partito di maggioranza che, insieme a quella di capo del governo, gli dava incomparabili livelli di influenza rispetto a quanto contemplato in una sana democrazia.

La catena decisionale sarebbe lunga in una seria democrazia, ma lui, grazie al supporto dei suoi sempre acritici “pretoriani di partito” e ad una legge elettorale perversa, ha agito in piena libertà con le proprie aspirazioni senza mai chiedersi se esagerava, trascinato solo dal suo sterminato egocentrismo, finendo però con l’andare a sbattere inesorabilmente contro il muro insormontabile della sua vanagloria.

Tuttavia non è ancora questo il motivo della disfatta che ora investe in pieno il partito che fu di maggioranza.

La crisi politica, è vero, non è solo italiana. Populisti, sovranisti, menefreghisti e profittatori a tutti i livelli infestano il panorama politico non solo in Italia. Il problema è che tutto questo è dovuto ad un sentimento, non un ideale, ed è un sentimento di odio verso chi fa le promesse e poi non le mantiene. Verso chi promette democrazia e distribuisce cortigianeria. Chi credeva ancora negli ideali inevitabilmente si sente tradito.

Ed è sentito di più da chi era legato a qualche ideale politico (ma oggi sono solo i comunisti e i fascisti ad essere in qualche modo sopravvissuti allo sbandamento ideologico generale).

Quindi le promesse di Renzi, che neppure nel suo stesso partito erano conosciute a fondo dai suoi aderenti, quando finalmente hanno capito cosa veramente volevano realizzare le sue “riforme” (un liberismo travestito da “sinistra democratica”) e quali, alla prova dei fatti, erano i suoi obbiettivi, c’è voluto poco a trasformarlo da leader a traditore e a provocare un abbandono in massa dell’elettorato.

Benché la netta sconfitta nel referendum costituzionale fosse già un segnale inequivocabile della svolta nei favori popolari, lui ha continuato imperterrito a voler dominare l’agone politico nazionale, sostenuto da una massa di palafrenieri che, nel partito, gli hanno fatto credere nell’immortalità (politica) dei “condottieri” come lui, capaci di passare alla storia per le loro imprese.

Non ha cambiato idea nemmeno dopo che tutti i maggiori personaggi storici del partito hanno deciso, in vista delle elezioni politiche, di cambiare casacca. Probabilmente hanno sbagliato anche loro, ma comunque non è servito nemmeno quel fortissimo segnale a “svegliarlo” dalla droga di invincibilità che lo ha permeato nel breve tempo della sua vanagloria terrena.

Sembrava il divo Achille, ma anche lui è stato colpito al calcagno quando una parte almeno dei suoi stessi cortigiani gli hanno chiesto, dopo l’ennesima bruciante sconfitta, di farsi da parte.

Questo fenomeno di rivalsa delle popolazioni verso i “traditori” degli ideali democratici ha già preso corpo due anni fa in Gran Bretagna e negli Usa (Brexit e Trump), lo scorso anno in Francia (Macron), quest’anno platealmente in Italia (Renzi spazzato via) e parzialmente in Germania (la Merkel dimezzata).

La globalizzazione dei mercati, diventati i nuovi padroni delle nostre vite, ha fatto il resto, favorendo solo il capitalismo e i suoi adepti (incluso milioni di illusi che sperano ancora di arrivarci comunque).

La politica deve rinnovarsi innanzitutto negli ideali di democrazia e nella capacità di formare una classe dirigente onesta e competente, le promesse facili non bastano più, chi le farà senza mantenerle passerà rapidamente dalla splendida posizione di divo a quella di traditore.

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