È d’obbligo partire da una premessa: che la situazione degli scrittori e degli artisti in generale, in Iran, sia tutto fuorché idilliaca e che presenti numerose criticità è un fatto assodato. Interrogato sul punto, pressoché qualunque artista non avrebbe alcun problema ad ammettere che fare liberamente cinema, letteratura, teatro e così via è estremamente difficile. Di fatto, gli artisti in questione (romanzieri, registi o sceneggiatori che siano) devono sovente scendere a compromessi con le autorità preposte (oppure, altrettanto spesso, si autocensurano immaginando perfettamente quali passaggi o concetti potrebbero incontrare l’opposizione dei censori) e “limare” concetti che altrimenti verrebbero espressi con più veemenza.

Da qualche settimana, una delle notizie che ruota intorno all’Iran è che nel 2020 sarà paese ospite al Salone del libro di Torino. La notizia ha destato non poche repliche la maggior parte negative. Sinceramente la chiusura aprioristica all’Iran come paese ospite al Salone del Libro auspicata da alcuni giornalisti, che di Iran conoscono poco, mi pare piuttosto ingenua se non contraddittoria.
Sulla questione del Salone di Torino alcuni hanno azzardato l’idea di chiedere alle autorità iraniane circa le sorti del regista Ja‘far Panahi, a cui è stato vietato di scrivere, produrre o dirigere film per un periodo di vent’anni. Se, però, adottassimo il criterio di valutazione della compromissione politica degli artisti suggerito da alcuni, dovremmo considerare il Panahi de Il cerchio (che tra l’altro vinse meritatamente il Leone d’Oro a Venezia) o di Oro rosso un regista allineato, per il semplice fatto che quei film (pur non mostrati in patria, è bene precisarlo) sono stati girati in Iran, con la piena consapevolezza delle autorità.

Poco prima di essere arrestato, il regista aveva iniziato a lavorare insieme allo scrittore Ahmad Dehqan a una sceneggiatura su un film ambientato durante la Guerra Iran-Iraq. La domanda sorge spontanea: qualora questo film avesse visto la luce, la semplice scelta di un argomento gradito alle autorità ne avrebbe inficiato il valore artistico o avrebbe portato all’inserimento di Panahi nel novero dei cineasti allineati? È la narrazione, il punto di vista a fare la differenza. La verità è che l’Iran è popolato da menti e da sensibilità artistiche meravigliose che, pur tra mille difficoltà, riescono a regalarci opere preziose. Non riconoscere questa realtà è un grave torto che si fa proprio a quelle menti e a quelle sensibilità.

Al fine di avere notizie dettagliate sulla situazione degli autori e scrittori iraniani ho chiesto al dr. Michele Marelli, traduttore dal persiano che ha studiato presso l’Universitá di Tehran e che recentemente ha curato e dato alle stampe la traduzione del romanzo Viaggio in direzione 270°, di Ahmad Dehqan. Marelli guarda con interesse alla (contro)proposta avanzata in questi giorni dallo scrittore iraniano residente in Italia Hamid Ziarati: aprire il Salone del Libro agli autori di lingua persiana operanti in tutto il mondo (dunque anche in Europa, in America, in Afghanistan o in Tajikistan). “Quello che oggi vogliamo mettere in discussione – dice – é la presenza dell’Iran come Paese. Propongo dunque una variante alla proposta di Ziarati: aprire il Salone del Libro a tutti quegli scrittori che siano in possesso della cittadinanza iraniana (dunque anche a coloro che abbiano lasciato l’Iran) e che abbiano scritto in persiano (dunque si aprirebbe anche a opere pubblicate fuori dall’Iran)”.

In effetti ancora non sappiamo con quali autori e con quali libri il governo iraniano intenda presentarsi al Salone del Libro ma è bastato si facesse il nome “Iran” al Salone e già qualcuno sta provando a boicottare l’evento. C’è chi, con argomentazioni legittime, immagina che verranno proposti autori o libri, per così dire, politicamente “compiacenti”. È possibile, ma non scontato.
Bisogna tenere in considerazione un paio di questioni, strettamente collegate: gli iraniani conoscono bene i nostri gusti artistici e tengono particolarmente a rafforzare i legami culturali con l’Italia. Sarebbe davvero superficiale da parte dell’Iran giocarsi questa carta. Non possiamo pensare che siano così ingenui da propinarci testi grondanti di propaganda o testi sui valori della Rivoluzione e dell’Islam. Anzi probabilmente opteranno per testi “neutri” proprio per mostrare un volto più rassicurante.

Come ripete Michele Marelli “Le posizioni emerse negli ultimi giorni appaiono in sostanza squisitamente politiche. Ogni battaglia politica è lecita, beninteso, soprattutto quando ha come oggetto questioni fondamentali come il rispetto dei diritti umani, la libertà d’espressione e lo status della donna. Mi pare, però, un peccato che a pagarne lo scotto siano potenzialmente le nuove, inudite voci di un panorama letterario sconosciuto. E i lettori, ovviamente”. Proprio per questo credo invece che chiudere l’Iran e isolarlo ancora una volta andrà a togliere anche quella utopica speranza ai giovani scrittori e artisti iraniani che hanno la volontà di continuare il loro percorso seppur carico di insidie. È proprio a questi giovani che dovremmo tendere la mano anziché allontanarla.

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