I firmatari lo sottoscrivono e il vicepremier, nel pieno della polemica lo ribadisce: sulla proposta di legge per il taglio delle cosiddette pensioni d’oro – le “Disposizioni per favorire l’equità del sistema previdenziale attraverso il ricalcolo contributivo dei trattamenti pensionistici superiori a 4mila euro mensili” – i gialloverdi non temono i ricorsi alla Consulta che pure pioveranno copiosamente. Lo si legge in modo chiaro nel Progetto di Legge d’iniziativa dei deputati D’Uva (M5S) e Molinari (Lega) depositato alla Camera il 6 agosto e pubblicato integralmente dal quotidiano Repubblica nei giorni scorsi. Nel documento, che ha scatenato un durissimo scontro tra il vicepremier Luigi Di Maio e il quotidiano di Mario Calabresi, oltre a una querelle politica destinata a tener banco a lungo, si legge come i due firmatari ritengano possibile tagliare retroattivamente le pensioni Inps oltre gli 80mila euro lordi annui a partire dal primo gennaio 2019 per alzare le minime, aggirando il nodo dell’incostituzionalità in nome del principio di “solidarietà sociale”.

Il punto di partenza, è il presupposto rivendicato dal tandem gialloverde, che è proprio il nodo finito al centro delle polemiche: le misure di ricalcolo applicate alle cosiddette pensioni d’oro avranno “evidente carattere di non arbitrarietà, ragionevolezza e proporzionalità”. Tanto da assimilarle a una “misura di solidarietà forte, mirata a puntellare il sistema pensionistico e di sostegno previdenziale ai più deboli (…) imposta da una situazione di grave crisi del sistema stesso”, come si legge nel testo che cita la sentenza numero 173 del 2016 della Consulta che ha sdoganato il taglio dell’adeguamento annuale delle pensioni all’inflazione, ma solo in caso di interventi progressivi, cioè meno penalizzanti per gli assegni più piccoli.

La sentenza ai giudici costituzionali che dovranno esprimersi su una questione squisitamente tecnica ma affatto secondaria: il metodo proposto per riconteggiare gli assegni pensionistici da poco meno di 4mila euro l’anno è davvero equo? Di Maio difende gli estensori e parla di “un calcolo oggettivo ed un principio: quanto i pensionati dovrebbero prendere di pensione in base ai loro contributi versati. Semplicemente equità”.  Repubblica sottolinea però come di fatto il progetto di legge “non calcola la differenza tra contributi versati e contributi ricevuti, ma si limita a ricalcolare l’età della pensione di vecchiaia secondo una tabella calcolata oggi sulle speranze di vita attuali, compiendo così una penalizzazione sul metodo retributivo“.

“Sono partiti con l’idea di smontare la legge Fornero, sono arrivati con una proposta, della quale si conosce solo il titolo ambiguo, che rischia di far sembrare la Fornero il paradiso in terra”. Secondo Osvaldo Napoli, del direttivo di Forza Italia, “il ricalcolo retroattivo con il metodo contributivo dei trattamenti di quiescenza è quanto di più incostituzionale si possa immaginare. La proposta giallo-verde prepara una macelleria sociale con l’unico risultato di innescare una spirale recessiva dei consumi ed accendere una conflittualità sociale e fra generazioni di cui non si avvertiva il bisogno”, si legge in una nota. Per Napoli, che parla di “vendetta sociale”, la proposta “è ambigua fin nel titolo poiché il limite dei 4mila euro sopra il quale le pensioni sono da considerarsi d’oro, non è chiaro se sia più il netto o il lordo del trattamento. Non è poi chiaro se nel ricalcolo contributivo siano da ricomprendere tutti i trattamenti pensionistici, compresi quindi anche i trattamenti di chi in pensione è andato in conseguenza dello stato di crisi dell’azienda, o soltanto i trattamenti di coloro che sono andati volontariamente in pensione non avendo raggiunto il limite di legge della pensione di vecchiaia”.

Sul tema è tornato anche Cesare Damiano che già aveva definito i calcoli “arbitrari” e che ha chiesto conto all’esecutivo della proposta: “Come dichiara D’Uva, vogliamo riaffermare il principio, per quanto riguarda le pensioni, ‘per cui hai diritto a percepire tanto quanto hai versato’. Si tratta, appunto, di un principio che, per sua natura, deve essere universale – si legge in una nota – “Forse sfugge al M5S  che tutti coloro che sono andati in pensione con le regole del sistema retributivo, totale o parziale che sia, percepiscono pensioni che valgono di più dei contributi versati. Operai, impiegati, quadri, dirigenti, liberi professionisti, giornalisti, magistrati e via elencando. Molti sono stati costretti alla pensione a causa dei processi di ristrutturazione delle aziende e hanno utilizzato i prepensionamenti per non essere licenziati e, quindi, per non diventare dei nuovi poveri. Penso agli operai della siderurgia che hanno lunghi periodi di contributi figurativi”, sottolinea l’ex presidente della Commissione lavoro. “Chiederemo loro di restituirli? Essendo palesemente incostituzionale la norma che taglia gli assegni alla sola platea delle ‘pensioni d’oro’, che cosa dobbiamo aspettarci? Che, dovendo disperatamente far cassa, si toccheranno tutte le pensioni in essere, anche quelle degli operai, soltanto perché liquidate con il sistema retributivo? Non sarebbe più semplice, anziché ascoltare i cattivi consiglieri, seguire la strada già battuta del contributo di solidarietà triennale da applicare alle pensioni superiori alla soglia dei 4.000 euro netti (non lordi, il Governo lo precisi) mensili?”, si è chiesto. Per poi concludere: “Chi ha introdotto il virus del ricalcolo retroattivo su base contributiva delle pensioni in essere, sta facendo passare un principio devastante per il sistema previdenziale e per la tranquillità, che dev’essere garantita una volta per tutte, di 15 milioni di attuali pensionati”.

Tornando al testo e alla sua costituzionalità, D’Uva e Molinari ritengono che la loro proposta non possa essere assimilata a una tassa mascherata perché “non si tratta di somme prelevate e acquisite dallo Stato, né destinate alla fiscalità generale. Infatti il prelievo è di competenza diretta dell’Inps che lo trattiene all’interno delle proprie gestioni per specifiche finalità solidaristiche e previdenziali”. Infine secondo i firmatari sarebbe facilmente aggirabile anche il terzo ostacolo, quello della non temporaneità della misura. Un’obiezione alla quale i due parlamentari rispondono sottolineando l’entità delle “palesi disuguaglianze” introdotte dal passaggio dal sistema di calcolo dell’assegno pensionistico su base retributiva a quello contributivo e che “appaiono totalmente disallineate rispetto ai principi costituzionali”.

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