di Giulio Scarantino

Il mio sogno è diventare un giornalista o uno scrittore, eppure qualche giorno fa ero anch’io in fila per il concorsone dell’ Inps. Si perché noi siamo i giovani dei sogni a metà, quelli che tra un desiderio e l’altro, di mezzo, c’è la famigerata e maledetta concretezza.

Così ero anch’io sotto il caldo della Fiera di Roma ad attendere il mio destino insieme agli altri. Nessuna distinzione nel traghetto verso il piccolo e stretto mondo del lavoro, così piccolo da respingere indietro come un arbitro impassibile. Facendoci sentire, anche se in minima parte, un po’ come i martiri del Mediterraneo in alto mare mentre attendono un paese che possa accoglierli.
Ecco come in quella fila per un attimo siamo tutti fratelli e siamo solo numeri senza nessuna distinzione di sesso o età, accomunati da un lungo viaggio.

Persone che arrivano dopo ore di treno o con autobus, altri invece dopo aver pernottato in una desolata Fiumicino, per assicurarsi di arrivare in orario all’ingresso, dove gli schimazzi dal terrazzo e l’abbaiare dei cani diventano rumori profondi da non far dormire. Il concorso si è svolto in diversi giorni e in diversi orari, c’è chi ha patito il canto del gallo all’alba per arrivare in orario al primo turno , chi il calore soffocante dell’ora di pranzo.

Insomma, sacrifici che si sommano, come se non bastasse a quelli già versati per la preparazione al test. L’attesa è snervante prima di quell’ora che passa in un baleno, bruciando come brace ardente sacrifi e sudori. Il test però non finisce in quella sola ora, ma porta con sé come la risacca dopo un temporale, gli strascichi di rammarico per risposte non date e polemiche per lo svolgimento della prova.

Ancora una volta a dare adito alle polemiche e minacce di ricorsi è stato lo svolgimento della prova in più giorni, che avvantaggerebbe gli ultimi. Infatti fughe di notizie (spesso accompagnate da buone intenzioni) su quesiti e ragionamenti, che a volte si ripetono in maniera quasi identica nelle prove successive, diventano virali nei gruppi Facebook dedicati scatenando le reazioni di chi ha già svolto il test e le difese di chi deve ancora svolgerlo. È così che in quelle comunità virtuali si rivela una verità efferata: come un freddo foglio a crocette possa svuotare dentro, al punto da far venire fuori il peggio. Dal sarcasmo pungente , l’opportunismo nascosto all’accanimento disperato. Sintomi di un comune sentimento: la frustrazione. Tutti condannabili e tutti giustificabili sotto la stessa lente d’ingrandimento. È così che prende forma e viene a galla, prepotente, la condizione della nostra generazione.

Eppure il concorso ha anche qualcosa di buono, quello di sentirsi meno soli nel vorticoso mondo della ricerca di un posto di lavoro. Ad esempio ho conosciuto Luca, con lui ho condiviso l’attesa per il test e il rammarico per gli errori commessi. Poi mi ha dato uno strappo a Roma Tiburtina raccontandomi del terremoto in Abruzzo vissuto sulla sua pelle. Quando sono arrivato ho trovato rifugio dal caldo in un bar , dove ho incontrato Stefano (una conoscenza passata ma fugace) con cui ho in comune la passione per la scrittura ma questa volta abbiamo condiviso anche l’attesa verso il ritorno a casa. Anche lui ha provato il concorso, perché noi siamo i giovani dei sogni a metà: dove tra un desiderio e l’altro c’è anche la famigerata e maledetta “concretezza”. Per questo, prima di riprendere i nostri lunghi viaggi, un fugace saluto ci ha separato: “ci rivediamo al prossimo concorso“.

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