Un esponente della casta che vince perché dice di essere contro la casta. Un Masaniello del 2000 eletto a furor di popolo per scacciare “i vecchi potenti dai palazzi”. Dove, però, lui stesso dimora da anni occupando ogni genere di poltrona: da quella di consigliere comunale a quella di deputato regionale. È la vittoria dell’ossimoro quella di Cateno De Luca, eletto primo cittadino di Messina con il 65% dei voti. Un mezzo plebiscito per quella che alla vigilia era considerata più una provocazione che non una vera e propria candidatura. E invece, complice l’affluenza sotto il 40%, De Luca è riuscito a farcela, moltiplicando letteralmente i voti presi al primo turno: da 23mila è passato a 47mila preferenze. Un vero e proprio boom.

La città che premia gli outsider – Ma d’altra parte dopo l’elezione di Renato Accorinti, la città sullo Stretto sembra averci preso gusto a premiare gli outsider. Purtroppo, però, il sindaco scalzo con le magliette “free Tibet“, quello che gridava “No War” in faccia Donald Trump, ha deluso le aspettative: e al primo turno ha preso solo il 14%. Al ballottaggio, dunque, tra l’uomo di Francantonio Genovese – cioè il candidato di centrodestra, Dino Bramanti – e il ribelle “Scateno” De Luca i messinesi hanno scelto quest’ultimo. Il prototipo del capopopolo capace di infiammare le piazze con promesse “che sa di non potere mantenere, dal casinò a Palazzo Zanca ai tram volanti”, lo sfotteva il suo avversario prima del voto, quando era arrivato a denunciarlo in prefettura. Esposti e carte bollate, però, non sono sono bastati a fermarne l’elezione: evidentemente ai messinesi i tram volanti e il casinò a Palazzo Zanca piacciono. E hanno eletto De Luca, che amministrerà senza avere neanche un consigliere comunale dalla sua parte: nessuna delle sue sei liste civiche, infatti, ha superato lo sbarramento al primo turno.

Trent’anni in politica – Pazienza. Per il momento il neosindaco si gode il successo. “La mia è la vera vittoria della società civile, una grande vittoria contro la casta, le consorterie e le lobby politiche che hanno governato la città negli ultimi 30 anni. È stata una vittoria dei cittadini che hanno detto basta a questo sistema di potere che ha messo in ginocchio Messina”, ha esultato – dopo aver fatto deporre un mazzo di fiori alla Madonna – nella notte. Lui che è in politica dal 1990, 28 anni fa, il crepuscolo della Prima Repubblica. Al Quirinale c’era Francesco Cossiga, il presidente del consiglio era Giulio Andreotti mentre il giovane Cateno aveva appena compiuto 18 anni e – come ricorda lui stesso nella sua sterminata biografia – era stato eletto consigliere comunale a Fiumedinisi, paesino della provincia peloritana in cui è nato e cresciuto. Da allora è stato assessore, sindaco, primo cittadino per due volte (anche nella vicina Santa Teresa Riva), consigliere regionale per ben tre legislature. Un elenco di incarichi da professionista della politica che fanno di De Luca in tutto e per tutto un esponente della tanto odiate “lobby politiche“. E infatti il nuovo sindaco di Messina di lobby – nel senso di partiti – ne ha girate parecchie: è nato nella Dc, è passato nel Movimento per l’Autonomia di Raffaele Lombardo, nella nuova Democrazia Cristiana di Gianfranco Rotondi, in Grande Sud di Gianfranco Micciché. Poi se lo è fatto in casa il suo partito: si chiama Sicilia Vera visto che De Luca è ovviamente anche un autonomista convinto.

L’arresto lampo – L’ultima elezione all’Assemblea regionale siciliana, invece, l’ha raggiunta con l’Udc, un partito taxi dal quale è sceso il giorno dopo il voto: lo avevano appena arrestato per evasione fiscale, accusa per cui era ancora ancora indagato alla vigilia del voto, come confermato dal fattoquotidiano.it dal suo legale, l’avvocato Carlo Taormina. Per i giudici, infatti, De Luca è “il dominus di una serie di società ed enti“, utilizzati per sottrarre al fisco 1,7 milioni di euro. Sono i vari Caf di un ente che si chiama Fenapi, acronimo di Federazione nazionale autonoma piccoli imprenditori, di cui risulta essere il “direttore generale nazionale”: e da lì, da questi uffici di disbrigo pratiche che De Luca ha cominciato ad accumulare rapporti, voti e denari. Lui, infatti, ostenta umili orgini e un tenore di vita morigerato, ma a Messina dicono che per questa campagna elettorale il neosindaco ha speso 200mila euro: una cifra non indifferente in tempi di spending review.

Il sacco di Fiumedinisi e l’assoluzione – Ma d’altra parte tutte le inchieste giudiziarie che lo hanno coinvolto hanno sempre avuto a che fare con il vile denaro. Sei anni fa, per esempio, De Luca era già stato arrestato per il cosiddetto “sacco di Fiumedinisi“: secondo le accuse nel suo paese natale voleva realizzare una gigantesca speculazione edilizia con l’immancabile mega albergo dotato di centro benessere. Purtroppo lo andarono a prendere prima, accusandolo di tentata concussione e abuso d’ufficio, insieme al fratello Tindaro: in famiglia evidentemente i soliti nomi tipo Giuseppe e Francesco non piacciono. La Cassazione definì “ingiusta” la sua detenzione, e alla fine in primo grado Cateno è stato in parte assolto e in parte prescritto. Per quell’inchiesta, però, la commissione Antimafia lo inserì tra i cosiddetti impresentabili.

Scateno De Luca – “Ho avuto 16 procedimenti, 15 si sono conclusi con l’archiviazione”, esulta continuamente lui, promettendo querele a destra e a manca. Lo stesso stile con cui ha commentato l’ultimo arresto. Ristretto ai domiciliari – prima che fossero revocati – ha accesso il computer senza neanche togliersi il pigiama: “Vi offro il caffè del galeotto“, ha scritto su facebook. Poi, non contento, ha pubblicato un video per spiegare di avere saputo in anteprima dell’arresto. “Me l’ha detto un parente di magistrati e di massoni“, era la sua versione. “Dedico questa ulteriore battaglia ai perseguitati dell’ingiustizia”, è invece il modo in cui dipinge la sua situazione giudiziaria. Sì perché questo piccolo ras delle preferenze di provincia crede davvero di essere un Masaniello del duemila. O almeno è quello che vuole fare credere ai suoi elettori. Che evidentemente si fanno convincere.

Il Masaniello che ha maggioranza e opposizione – Un esempio? Quello che De Luca mette in scena nel 2012 alle elezioni comunali di Fiumedinisi, dove non si può ricandidare perché nel frattempo si è fatto eleggere primo cittadino nel vicino comune di Santa Teresa Riva. È a quel punto che il Masaniello peloritano si trasforma in una sorte di Archimede Pitagorico della politica locale: candida due aspiranti primi cittadini, entrambi sostenuti dalle sue liste. Poi manda una lettera agli elettori, chiedendo di votare uno dei due candidati sindaco, ma optando per i consiglieri comunali del suo avversario: in pratica istituzionalizza il voto disgiunto. “È un chiaro e forte gesto di ribellione“, dice, ma non si capisce verso che cosa si dovrebbero ribellare i cittadini visto che nei precedenti due mandati il sindaco era sempre lui. Gli elettori, però, non ci fanno caso e votano in massa come dice De Luca: che quindi è riuscito nell’impresa di controllare il sindaco, la maggioranza, ma anche l’opposizione. “Con questi metodi da Repubblica delle banane si vuole fare del comune, invece che una casa di vetro, il cortile della propria abitazione”, si lamentava all’epoca il deputato Pd Filippo Panarello. Opinione minoritaria, evidentemente, visto che nella zona De Luca lo hanno sempre votato in massa: il vassallo delle preferenze, inscalfibile neanche dopo indagini e arresti.

Quando rimase nudo all’Ars – E che adesso sbarca in città, a Messina, dove lo hanno voluto sindaco nonostante i guai giudizari. E nonostante le performance messe in scena a Palazzo dei Normanni. Come quando si era iscritto al gruppo del Pdl, ma solo per tre ore e mezza, giusto il tempo di far saltare gli equilibri in una delicata conferenza dei capigruppo. O come quando aveva riunito 12 deputati di destra, sinistra e centro, creando a un bellicoso gruppo bipartisan che chiedeva di indire un referendum: la carica di parlamentare doveva essere incompatibile con quella di sindaco. E peccato che in quel momento De Luca fosse nello stesso momento sindaco e deputato regionale. Quando volevano escluderlo dalla commissione Bilancio, invece, si presentò in mutande nella sala stampa del Parlamento regionale per poi coprirsi soltanto con la bandiera della Sicilia: quelle foto finirono ovviamente su tutti i giornali. Meno noto un video diffuso nel Natale scorso quando Cateno si presentò a Palazzo dei Normanni armato di zampogna per festeggiare la scarcerazione. A Messina aspettano di vedere come festeggerà l’elezione. E ovviamente aspettano il casinò e i tram volanti.

Twitter: @pipitone87

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