Incontro storico ed eccezionale quello di Singapore tra Donald Trump e Kim Jong-un, sotto tutti i punti di vista, dal bizzarro taglio di capelli e acconciatura dei due leader fino alla dichiarazione congiunta dell’accordo, una delle più vaghe nella storia moderna. Evento assolutamente mediatico, migliaia di giornalisti, fotografi e cameramen hanno rimbalzato immagini e frasi attraverso il pianeta cercando di dare all’evento un senso politico. E come nella favola sulla stupidità del mondo, nessuno ha osato alzare la mano e domandare perché il re è nudo, per qual motivo tutto ciò che si era detto sarebbe successo in realtà non si è verificato: Trump non si è alzato sbattendo il pugno sul tavolo perché Kim gli ha detto “non denuclearizzo come ha fatto la Libia” e Kim non ha insultato il presidente americano quando questo non gli ha tolto le sanzioni.

Ma che questo sarebbe stato un incontro mediatico per rompere il ghiaccio tra due arci-nemici si poteva prevedere. Quello però che nessuno ha scritto è che l’artefice delle ripetute strette di mano tra il giovane Kim e l’anziano Donald è il presidente sud coreano Moon Jae-in. Grazie a lui il regime della Corea del nord ha iniziato a schiudersi al mondo. Fondamentale è stata la tempistica. L’offerta di partecipare alle olimpiadi invernali è arrivata quando ormai nessuno dubitava più che Pyongyang fosse una potenza nucleare, è arrivata anche quando tra Cina e Stati Uniti la tensione aumentava, infine l’idea di pacificare la penisola coreana ha fatto gola a Trump in un momento in cui le alleanze dell’atlantico vacillavano.

Anche se mediatico l’incontro tra Trump e Kim è assolutamente storico. Pone fine a un conflitto ideologico anacronistico nel mondo in cui viviamo. Conflitto che risale alla dicotomia tra capitalismo e comunismo degli anni della Guerra fredda. Si è vero, molti analisti hanno commentato che Trump non ha inchiodato Kim sulla questione dei diritti umani, che non è accettabile che un dittatore come lui venga ricevuto in gran pompa. Ma questi sono argomenti deboli in un mondo dove si lasciano alla deriva centinaia di migranti nel mare nostrum o dove non si interviene per salvare le vittime delle armi chimiche di Assad. Ahimè, anche la questione dei diritti umani sembra ormai appartenere al passato, e questo è gravissimo.

Ma torniamo ai nostri due eroi del giorno, Donald e Kim. L’accordo sul processo di pace e la restituzione dei prigionieri di guerra è un vero e proprio balzo in avanti nella storia contemporanea. Godiamoci questa vittoria per la pace nel mondo, almeno per qualche ora. Per il resto è chiaro che Kim Jong-un non è più il nemico necessario, basta questo per farci sperare che il processo di modernizzazione e sviluppo economico della Corea del nord inizi al più presto e porti con se una liberalizzazione interna che almeno smusserà gli aspetti più spinosi del regime. Certamente la classe dei commercianti, che ha già iniziato a prendere forma, agirà fuori del rigido sistema delle caste e questo diventerà un canale di mobilità sociale oggi ancora inesistente nel Paese. La modernizzazione aprirà anche una finestra sul mondo dalla quale i nord coreani potranno sbirciarne i contorni e accorgersi che poi non è l’inferno che fino a oggi hanno creduto fosse.

Un bilancio positivo, dunque, anche se intriso di propaganda mediatica. Ma perché sorprenderci? Questo è il mondo in cui viviamo.

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