Il nostro smartphone ci offre la possibilità di interagire nelle più disparate modalità con utenti web di tutto il pianeta. Il paradosso è che mentre siamo connessi virtualmente col mondo facciamo sempre più fatica a vivere le relazioni reali.

Mentre scrivo questo articolo sono in viaggio e nella carrozza del treno c’è una cosa che accomuna tutti i passeggeri, un telefonino ad altezza naso. Chat, social, hangouts, app games sono solo alcune delle attività che intrattengono i viaggiatori. Sono centinaia gli stimoli che passano attraverso i mobile phone mentre tutto attorno regna una surreale apatia. Questo è uno degli effetti sociali più preoccupanti dell’iper-connessione.

Ormai la pervasività tecnologica ha raggiunto livelli patologici. C’è addirittura chi soffre di nomofobia, ovvero il terrore di restare senza connessione. In tal senso le statistiche hanno dell’inquientante: secondo il rapporto Coop 2016 il 70% degli italiani controlla lo smartphone appena svegli; una ricerca Cisco rivela che 3 utenti su 5 passano più tempo attaccati al telefono piuttosto che con il proprio coniuge; la University of San Diego rivela che l’81% degli utenti interrompe le conversazioni o i pasti per controllare il dispositivo; infine, secondo uno studio della Georgia Institute of Technology ben 9 persone su 10 soffrono della sindrome della vibrazione fantasma.

Come spesso accade il problema non è lo strumento, ma il suo utilizzo. Per questa ragione gli sviluppatori di Apple hanno pensato di affrontare la questione grazie a degli strumenti innovativi che inducono l’utente a utilizzare con maggiore consapevolezza i propri dispositivi, la presentazione è andata in scena durante la Worldwide developers conference 2018 a San Jose in California.

Si tratta di una funzione definita Screen Time che è in grado di calcolare quanto tempo si passa sui dispositivi iOS, quindi il tempo trascorso su ogni singola app, il numero delle notifiche ricevute e quante volte si prende in mano telefono e Ipad. Nulla di straordinario fin qui, esistono da tempo “app” con caratteristiche molto simili, due su tutte: Checky che indica quante volte alziamo il telefonino e Moment che misura quanto tempo ci spendiamo con la possibilità di impostare un alert.

La novità di Apple è piuttosto rivolta ai genitori e la si ritrova nel poter gestire in maniera programmata l’utilizzo delle applicazioni definendo per esempio dei blocchi temporanei e soprattutto il monitoraggio dell’activity report dei figli direttamente dal proprio dispositivo. Si tratta di un messaggio importante, seppur timido, lanciato dalla più grande multinazionale tecnologica al mondo che probabilmente osservando alcune strategie di marketing cerca di andare in contro alle esigenze del “consumatore attento”.

Sarà sufficiente? Sicuramente un primo passo, ma quel che ci si dovrebbe chiedere sull’utilizzo dei device non è esclusivamente “quanto” tempo i nostri figli o noi stessi passiamo connessi in Rete, ma “come” impieghiamo quel tempo, soprattutto nell’era dei social dove troppo spesso il contenuto lascia spazio all’immagine, all’apparenza e all’insana morbosità in cerca di gossip.

Viene alla mente una provocazione comica dell’artista Angelo Duro che rivolgendosi al pubblico mette in evidenza un paradosso della comunicazione social che ci dovrebbe far riflettere: “Ogni qual volta avete un minuto di tempo libero dovete aprire il cellulare per vedere cosa stanno facendo gli altri. Perché non vi fate i c***i vostri? Ve lo dico io cosa stanno facendo gli altri, il nulla. Perché anche loro stanno guardando cosa state facendo voi. Il nulla che guarda il nulla”.

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