“Silvio Berlusconi ha affermato che dietro il pensiero “livoroso e giustizialista” del M5s ci sono io? L’ho querelato per queste affermazioni”. Sono le parole di Piercamillo Davigo, presidente della II Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, in una intervista a Giovanni Floris per Dimartedì (La7). “Secondo Berlusconi, dividere il mondo tra colpevoli e innocenti è giustizialismo? Il mio mestiere, quello di giudice, è esattamente quello di distinguere tra colpevoli e innocenti. Chi mette in dubbio questa distinzione è come se spegnesse la luce, così tutte le pecore sono grigie. In realtà, ci sono le pecore bianche e le pecore nere. Il mondo è fatto così. Poi, certo che ci sono infinite varietà e sfumature, ma il mestiere di giudice è quello di far rispettare la legge. Stupisce che chi ha ricoperto incarichi di governo ed è stato leader di una maggioranza, e come tale ha approvato leggi che poi i giudici sono chiamati a far rispettare, possa fare queste affermazioni”. E aggiunge: “Renzi ha detto che sono un khomeinista giudiziario. Non mi sento affatto tale, ho sempre cercato di fare il mio lavoro applicando le leggi che il Parlamento approva. Se quelle leggi non vanno bene, le facciano in un altro modo. Cosa è il giustizialismo? Questo bisogna chiederlo a chi usa questa parola, che non vuol dire niente. C’era stato un movimento giustizialista in Argentina, che voleva la giustizia sociale. In Italia parlare di giustizialismo in termini dispregiativi forse vuol dire che non si vuole la giustizia”. Davigo racconta l’aneddoto del pirata e di Alessandro Magno, raccontato da Cicerone e ripreso da sant’Agostino: “Nella Città di Dio sant’Agostino commenta così l’episodio: ‘Bandita la giustizia, che cosa sono i grandi imperi se non bande di briganti che hanno avuto successo? E che cosa sono le bande di briganti, se non imperi in embrione?’. Quindi, ciò che fa la differenza tra gli Stati e le bande di briganti è proprio la giustizia“. Circa il governo Conte e i provvedimenti sulla giustizia, osserva: “Credo che sia difficile fare peggio di chi l’ha preceduto. Perlomeno, finora noi magistrati non siamo stati ancora insultati. E’ già qualcosa. Che io sappia non esiste ancora un programma di governo, ma un contratto tra due forze politiche. I governi si valutano più sulle cose che fanno e non su quelle che dicono. Poi tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. La proposta del Daspo per la lotta alla corruzione non mi convince. Bisognerebbe premiare chi denuncia i corrotti, il sistema funzionerebbe meglio”
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