Un governo con l’intruso, o con la foglia di fico, proprio agli Esteri, perché davvero non si capisce che cosa c’entri, con questa formazione di partiti e di ministri, Enzo Moavero Milanesi, giurista, persona squisita, funzionario eccellente e ottimo ministro degli Affari europei nei governi Monti e Letta. Qui, Moavero, elemento di garanzia del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, appare fuori contesto e in rotta di collisione potenziale con il ministro per gli Affari europei, quel professor Paolo Savona intono a cui hanno ruotato i sussulti politici dell’ultima settimana.

Quando nasce un governo, i partner europei e internazionali, per misurarne a spanne credibilità e solidità, guardano per prima cosa al premier e ai ministri degli Esteri, dell’Economia e della Difesa, oltre che – in ambito europeo – a quello degli Affari europei, quando c’è.

In questo caso, tre posizioni chiave sono occupate da personaggi tutti ‘da scoprire’, che non hanno, al di là dei reciproci ambiti professionali specifici, esperienze politiche internazionali, anzi non hanno proprio esperienze politiche: parliamo del premier, professor Giuseppe Conte, e dei ministri dell’Economia, professor Giovanni Tria, e della Difesa, Elisabetta Trenta, una sopravvissuta – sono pochi – del ‘governo ombra’ grillino.

Per Conte, c’è l’handicap della rilevanza, avendo come vice i due leader delle forze politiche che hanno stilato il contratto di governo e che hanno poi condotto le trattative per la sua formazione. Quale sia la sua autorevolezza e la sua autonomia decisionale, avremo – e avranno, i nostri partner – la possibilità di misurarlo nei prossimi impegni internazionali: il Vertice del G7, a Montreal (Canada), l’8 e 9 giugno, fra una settimana esatta; il Vertice europeo di fine mese, a Bruxelles, il 28 e 29 giugno; e il Vertice della Nato, a Bruxelles, in luglio.

Per Tria, ci saranno le riunioni europee dell’Ecofin e dell’Eurogruppo, cioè i Consigli dei ministri dell’Economia dei Paesi – rispettivamente – dell’Ue e dell’euro, essendoci già stati gli appuntamenti di primavera dell’Fmi. Per la Trenta, la preparazione del Vertice della Nato. Oltre, naturalmente, all’intreccio, per tutti, di contatti bilaterali.

Il nodo da sciogliere, da cui dipende la funzionalità del governo in ambito europeo, è l’interazione – e la compatibilità – tra i ministri degli Esteri e degli Affari europei. Moavero, funzionario europeo di lunghissima e variegata esperienza, capo di gabinetto di Monti alla Commissione europea, vice-segretario generale della stessa Commissione, giudice alla Corte di Giustizia di Lussemburgo, e poi ministro a due riprese, ha una competenza europea eccezionale, internazionalmente riconosciutagli, e ha la preparazione e la capacità per misurarsi su scala mondiale, anche se dovrà magari acquisire dimestichezza con aree di crisi attuali come le relazioni transatlantiche o il Medio Oriente.

Il suo europeismo, che punta a migliorare e approfondire l’integrazione, suona però contraddittorio con l’atteggiamento euro-critico, quando non euro-scettico, delle forze politiche che sostengono questo governo e di molti suoi colleghi ministri. Resta da vedere in che misura potrà esercitarlo: e, se non potesse farlo, il suo essere un politicamente intruso e una foglia di fico dell’euroscetticismo altrui diventerebbe palese e insostenibile.

E qui entra in scena Savona, il cui inserimento agli Affari europei, pare un accantonamento e pure una contraddizione. Nel recente passato, i governi con un ministro per gli Affari europei – Monti e Letta – gli hanno affidato competenze di negoziato con i partner di solito di pertinenza del ministro degli Esteri: se questo è il modello Savona, ‘espulso’ dall’Economia perché ‘anti-euro’, sarà l’uomo di punta sull’Ue di questo governo, mentre Moavero sarebbe limitato nell’esercizio proprio delle sue competenze migliori.

In altri casi, quando c’era un sottosegretario per gli Affari europei, come nei governi fino al 2011, e poi di nuovo nei governi Renzi e Gentiloni, il ruolo era quello di trasporre la normativa comunitaria nella normativa italiana, senza praticamente interferire nei negoziati sulle disposizioni comunitarie in fieri; oppure – è stato il caso di Renzi e Gentiloni – la competenza europea era in qualche misura sottratta al Ministero degli Esteri ed esercitata da Palazzo Chigi, anche tramite il sottosegretario (Sandro Gozi è stato molto attivo in tale ruolo, fin quando il suo rapporto con Renzi è stato buono).

Ora, se nel modello Monti-Letta – e in misura minore in quello Renzi-Gentiloni -, il ruolo europeo di Moavero sarebbe limitato, in quello precedente il ruolo di Savona, sul fronte europeo, sarebbe marginale, quasi impercettibile: i partner dell’Ue avrebbero poche occasioni di confrontarsi con lui, che potrebbe al più interloquire con la Commissione sulla gestione delle procedure d’infrazione.

Il dubbio, e la contraddizione, restano: sull’Europa, un governo ‘alla Savona’ dietro il paravento Moavero? O un governo che s’affida a Moavero e mette la sordina a Savona? Lo capiremo presto, noi e i nostri partner.

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