Tre giorni senza cellulare, anzi “senza campo”. Cinquanta ragazzi tra i quindici e i diciassette anni, hanno accettato la “sfida” lanciata dal loro dirigente scolastico, Alfonso Gargano, preside del liceo “Chiabrera Martini” di Savona. Per 72 ore gli studenti sono rimasti in un bosco lontani da qualsiasi trasmettitore, senza alcuna possibilità di inviare un sms, di chattare con fidanzati e fidanzate, senza poter postare alcuna foto e taggare gli amici. Addio a Istangram, Twitter e Facebook per una “gita” un po’ particolare.

Il capo dell’istituto non lo definisce un viaggio d’istruzione ma qualcosa di più: una vera e propria attività di orienteering voluta per sviluppare diverse competenze ma soprattutto per recuperare una dimensione relazionale che sembra essersi persa. Il liceo ha scelto come luogo per fare questo esperimento sociale, il lago di Osiglia, in val Bormida. Un luogo lontano dalla città, così distante da non aver alcuna “connessione”. Una prova che è stata superata da tutti gli studenti: “I ragazzi – spiega il preside – sapevano che sarebbero andati in un posto dove il cellulare sarebbe stato inutile. Nessuno è andato in crisi di astinenza. Erano presi dall’attività proposta. Questo dimostra che non è vero che chiedono il cellulare fin dai primi anni della scuola dell’infanzia ma siamo noi adulti che li condizioniamo. Se riuscissimo a creare delle comunità con un’alternativa, con un’interazione più vera potremmo fare molto di più nell’ambito educativo”.

Il dirigente va oltre. Ha un sogno nel cassetto. Uno di quelli che si potrebbero anche realizzare a breve: “Spero prima o poi di avere anche a scuola delle aule prive di campo, ho già chiesto al dipartimento di fisica di lavorare in questa direzione”. I liceali hanno scoperto che stare senza chat e sms non è poi così male. Si sono accorti di quanto sono preziosi anche i silenzi, hanno parlato molto di più tra loro, hanno creato relazioni più reali e meno virtuali riuscendo a superare anche le naturali conflittualità tra individui. Il tutto attraverso un’attività che li ha messi in contatto con la natura, lo sport, la buona cucina, dimenticando la tecnologia.

“Da anni l’educazione fisica non si fa più solo in palestra. Questa iniziativa – spiega il preside – associa la conoscenza del territorio al capire come orientarsi in un posto senza la tecnologia, senza il cellulare. I cosiddetti nativi digitali hanno sviluppato competenze che sfuggono alla nostra generazione ma dal punto di vista della relazione è venuto a mancare qualcosa. Volevo far vivere loro un’esperienza tipo quella dei boy scout e ci siamo riusciti grazie anche alla disponibilità dei genitori e dei professori”. Non solo. Senza il cellulare e la possibilità di andare su Google earth i ragazzi hanno dovuto mettere in moto anche il loro cervello per sviluppare il senso di orientamento. Qualcuno si è accorto dell’importanza del dialogo che spesso viene a mancare quando nelle serate si esce con gli amici per parlare al cellulare con altri.

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