Tra tante cattive nuove, finalmente una buona notizia. Fa bene al cuore sapere che la Confindustria, per la prima volta dal 1962, prende posizione contro il governo. A differenza di 56 anni fa, quando gli industriali si schierarono contro la nazionalizzazione dell’energia elettrica, provvedimento che avrebbe dovuto condurci all’apocalisse socialista, questa volta nemmeno aspettano che si formi un governo, già quello paventato è terribile.

Non diremmo ciò che ciascuno pensa, e cioè che nei decenni gli industriali hanno sempre esultato, chiunque fosse l’inquilino di Palazzo Chigi. Buono o cattivo, pulito o sporco, progressista o conservatore. Sempre belle parole e buoni affari. Al punto che gli imprenditori italiani sono stati chiamati, per rendere l’idea, “prenditori”.

Il fatto che oggi espongano chiaramente il loro pensiero li toglie dalla storica funzione ancillare di servitori di qualunque padrone a patto che il padrone servisse a tavola per i commensali pietanze prelibate e concedesse il superfluo a chi non era stato ammesso al pranzo. Questa scelta di campo fa bene alla democrazia, perché toglie il dubbio che esista un ceto sociale al quale sta bene tutto. Se è vero che questo è il governo del cambiamento, come i i capi della coalizione si affannano a ripetere a ogni piè sospinto, allora non ci resta che verificarlo. Capiremo presto per chi se ne avvantaggia e chi invece un po’ sarà costretto a tirare la cinghia. Perché a sentire Luigi Di Maio saranno per tutti rose e fiori. Ecco, la posizione di Confindustria dimostra che ogni scelta di governo che si compie ha un suo sapore, un odore e perfino un colore. Cambiare a favore di chi? E il fatto che siano dovuti arrivare gli industriali a ricordarlo a Di Maio è sì bizzarro, ma tutto sommato una buona notizia.

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