Detroit: Become Human è un’avventura dinamica, in arrivo esclusivamente per Play Station 4 il 25 maggio, che proietta il giocatore in un futuro in cui gli androidi affiancano ed assistono gli esseri umani nella quotidianetà, non senza una buona dose di diffidenza nei loro confronti da parte di quest’ultimi. In occasione del Preview Event dedicato al titolo tenutosi a Milano, abbiamo avuto la possibilità di conoscere ed intervistare Adam Williams, Lead Writer del gioco per Quantic Dream.

A cosa vi siete ispirati per le vostre scelte per Detroit: Become Human?
Siamo stati ispirati da film e libri letti, siamo appassionati di fantascienza ed era impossibile non rimanere influenzati da film come Blade runner. Però il fulcro di tutta la trama del gioco rimane sempre legato a una domanda. Le macchine possono provare sentimenti, e se sì, quanto possono avvicinarsi al diventare “umane”?

Come mai avete scelto Detroit per l’ambientazione del gioco e non città più inflazionate dalla fantascienza come New York?
L’azienda che produce gli androidi nel gioco si chiama Cyberlife, e il suo quartier generale si trova a Detroit, la capitale dell’industria automobilistica americana, sempre all’avanguardia con costruzione e produzione. Ci è quindi sembrato normale continuare la “Legacy” di Detroit, rendendola ora il centro di produzione della tecnologia degli Androidi presenti nel gioco.

Quando hai pensato ai protagonisti del gioco, ti sei ispirato ad attori specifici o al personaggio?
Un mix delle due cose. Ci capitava di pensare mentre delineavamo i caratteri dei personaggi presenti nel gioco a chi avrebbe potuto interpretarli tramite il motion capture, altre volte mentre prendeva forma la trama pensavamo a un attore. Ma solitamente nascevano prima il personaggio e le sue sfumature e poi l’idea di chi poteva interpretarlo.

Dopo aver provato la demo, pensiamo che Detroit: Become Human possa essere la naturale evoluzione di Heavy rain. E abbiamo notato che mancano parti in cui si spara e che come tutte le avventure di Quantic Dream c’è molta investigazione. Un risultato voluto oppure il gioco potrebbe sorprenderci?
I personaggi vivono tre tipologie di storie differenti. Nonostante ci siano una serie di situazioni diverse, per ognuno di loro abbiamo puntato ad un’interazione con la storia dettata da scelte e sentimenti, anziché che inserire sezioni totalmente dedicate allo shooting o al driving. In questo modo abbiamo cercato di calare i giocatori nei panni dei protagonisti, e se ci saranno delle scene più di azione rispetto al normale dipenderà solo da loro, e da come decideranno di affrontare gli avvenimenti.

Ultima domanda: qual è la tua parte preferita di Detroit: Become Human?
Difficile dirlo. Come writer, il nostro lavoro è scrivere storie che devono emozionare i giocatori. Ed è proprio questa la parte che preferisco del mio lavoro: creare una storia che appassioni e che  permetta di vivere un’esperienza unica, senza annoiarsi.

In attesa della nostra prova del gioco completo, se volete sapere qualcosa di più su Detroit: Become Human potete leggere la nostra anteprima pubblicata alcuni giorni fa.

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