Non voglio fare la figura di quello che sapeva già come sarebbe andata a finire l’elezione del presidente del Molise.

Così non è, e non sarebbe onesto intestarsi un vaticinio che fino a ieri in tarda serata non avrei avuto il coraggio di fare senza sudare freddo: però, credetemi, negli ultimi giorni di campagna elettorale la sensazione che i 5 Stelle non avrebbero ripetuto il successone delle politiche era palpabile.

Per una serie di semplici e prevedibili motivi che proverò a elencare:

1. Uno dei cavalli di battaglia (se non l’unico) della campagna elettorale regionale pentastellata è stato l’attacco ai molti transfughi del centrosinistra riciclatisi nello schieramento di centrodestra. Un grande classico propagandistico, quello dei voltagabbana, sempre attuale, sempre efficace per attrarre elettori: sbagliato però utilizzarlo dal palco a Campobasso mentre, contemporaneamente, si dichiara ai quotidiani nazionali la propria disponibilità a fare il governo sia con il Pd, sia con la Lega. Questa elegante sottigliezza politica per la quale ciò che è “inciucio” durante la campagna elettorale diventa “contratto di governo alla tedesca” dopo le elezioni, noi cafoni di provincia proprio non l’abbiamo capita. Scusateci tanto.

2. L’idea grillina di festeggiare prima di aver vinto si è rivelata una tattica inadeguata a cogliere l’avversario di sorpresa. Esaltati dal successone elettorale conseguito alle politiche, i 5 Stelle locali hanno cominciato un lungo party in stile “Una notte da leoni” all’insegna di “vi spazzeremo tutti via”, “siete tutti morti”, “arriva lo tsunami”, “boom”, inondando i social locali di spacconerie da mane a sera. Molto divertente, ma la prossima volta aspetterei di aver vinto.

3. Il premiato format 5 Stelle “L’Isola dei Candidati”, nel quale si scelgono personaggi a caso, mai visti sul territorio, privi di qualsiasi esperienza professionale gettandoli nelle liste e sperando che il popolo boccalone li voti, non funziona sempre. O meglio funziona quando gli avversari propongono figure altrettanto deboli. Quando invece il tuo candidato governatore è un ex-attore di fiction di 31 anni, mentre quello degli avversari è il presidente dell’ordine dei commercialisti, insegna da 30 anni, ha fatto l’assessore al bilancio con competenza riconosciuta e sa parlare in italiano, pigli le sberle.

4. La rivoluzione non si fa dal divano. L’affluenza alle urne, complice la domenica di solleone e Juve-Napoli in serata (i molisani tifosi di una delle due squadre coprono il 70% dell’elettorato attivo), è stata determinante, e mentre i 180 candidati delle nove liste a supporto del centrodestra erano per strada a cercare voti fino alle 22:59 di ieri, gli elettori grillini stavano a Marina di Montenero di Bisaccia con la frittat’ ‘e maccarun (frittata di maccheroni, per i padani che leggono) e nessuno è andato a recuperarli. La prossima volta bisogna spiegare bene alle centinaia di migliaia di profili Facebook pro-M5S che ancora si vota con la matita.

5. Il centrodestra, complice il grande spavento preso con le politiche si è ricompattato. Fino al 4 marzo (e anche oltre, a esser sinceri) le cronache locali riportavano di quotidiani scontri tra le varie anime della coalizione e proprio nessun candidato sembrava unanimemente gradito ai vari leader. Presa la batosta è tornato l’ordine. O meglio, il politico molisano dotato di maggior seguito sul territorio, l’europarlamentare di Forza Italia Aldo Patriciello, ha messo la parola fine alle estenuanti trattative imponendo manu militari il nome di Donato Toma. Da quel momento in poi, fatta salva qualche irrilevante voce fuori dal coro, è tornata l’unità, e con essa la vittoria.

Questa la breve cronaca dei fatti politici della Terra di Mezzo (o dall’Ohio, se preferite): ora fatevi il vostro governo, che noi molisani per i prossimi cinque anni siamo a posto.

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