di Gruppo di Lavoro “Psicologia e Scuola”, Ordine Psicologi Lazio

In un recente articolo pubblicato sul ilFattoQuotidiano.it, il pedagogista Daniele Novara ha messo in evidenza un presunto “boom” di diagnosi di Dsa (Disturbi specifici di apprendimento) e parlato di “etichettamento” di migliaia di alunni con lo scopo di “business”. Come Ordine psicologi Lazio e come già fatto dall’Associazione italiana dislessia – ci pare importante ristabilire una corretta informazione circa i dati riportati e su quanto affermato rispetto alle cosiddette “false diagnosi”.

Senza entrare in una polemica che poco contribuirebbe ad aiutare alunni e genitori a capire di più, proviamo a leggere i dati del Miur in un’ottica scientifica.

La Legge 170 è entrata in vigore nel 2010 e ciò che introduce è che la messa in atto di misure didattiche di supporto necessarie agli alunni con Dsa vada formalizzata a seguito della presentazione di una certificazione. Va da sé che le certificazioni siano aumentate dal 2010 ad oggi.

Se guardiamo i dati dell’ultima rilevazione del Miur (a.s. 2014/2015) gli alunni con certificazione di Dsa in Italia sono il 2,1% della popolazione scolastica totale. Questa percentuale rientra pienamente nei valori attesi in base a quanto indicato nel documento elaborato nella Consensus conference dell’Istituto superiore di sanità, che vanno dal 2,5% al 3,5%. Il documento è stato elaborato da un gruppo di lavoro multidisciplinare, che ha visto coinvolti associazioni di genitori, medici, psicologi, professionisti della sanità e rappresentanti degli uffici scolastici regionali e rappresenta una sintesi condivisa delle conoscenze scientifiche in ambito Dsa.

I casi di Dsa non sono, dunque, aumentati: a essere aumentate sono esclusivamente le certificazioni di Dsa che arrivano alle scuole.

Rispetto alle cosiddette “false diagnosi”, poi, si fanno affermazioni pericolose che minano le basi stesse dell’alleanza scuola-famiglia-servizi sanitari, che è invece auspicata sempre. Il percorso di valutazione del profilo di funzionamento e la diagnosi eventuale che da questo deriva, fanno parte di un processo molto complesso che richiede formazione, competenza ed esperienza clinica. Ciascun professionista (neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti) che contribuisce a comprendere i punti di forza e le fragilità nei processi di apprendimento di ciascun alunno, deve far riferimento a criteri diagnostici ben definiti a livello scientifico, che non lasciano spazio a confusione tra quella che è una difficoltà di apprendimento (che può essere transitoria o secondaria ad altre determinanti) e quello che è un disturbo specifico di apprendimento.

Come psicologi facciamo parte delle equipe multidisciplinari che emettono diagnosi e certificazioni rispettando le procedure stabilite dall’Istituto superiore di sanità e una deontologia professionale che non ci consente di falsificare le diagnosi. Il processo diagnostico ha sì lo scopo di definire le caratteristiche del disturbo a livello nosografico, ma ha come finalità indispensabile quella di capire come funzionano quel bambino e il suo eventuale disturbo, portandone alla luce sia i punti di debolezza da sostenere e potenziare, sia i punti di forza da valorizzare con la collaborazione di tutti: famiglia, scuola e servizi.

I casi di Dsa sono, insomma, meno di quello che ci si aspetterebbe. Dati alla mano potremmo addirittura affermare il contrario, ovvero che i bambini con un Dsa certificato e riconosciuto siano ancora pochi. Alimentare e la confusione nei loro genitori e nei loro insegnanti li allontana dalla possibile comprensione e soluzione del problema.

 

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