C’è un settore sociale che ha sofferto più di ogni altro gli effetti della crisi economica cominciata nel 2008: i giovani della generazione millennial. I nati tra il 1980 e il 2000 sono parte della generazione più istruita e preparata della storia italiana; una generazione che ha girato il mondo, ha studiato le lingue straniere, ed è esperta nell’utilizzo delle tecnologie informatiche, sempre più necessarie in una società digitale. Ma si tratta pure di una generazione che per la prima volta da molti decenni a questa parte si trova a affrontare prospettive economiche peggiore di quelle dei propri genitori.

Alcuni dati fotografano la difficile situazione contro cui stanno lottando i nostri giovani.

La disoccupazione giovanile resta oltre quota 35% e due giovani su tre che cercano lavoro sono in attesa del primo impiego, in un paese in cui l’età media dei lavoratori è aumentata vertiginosamente. I millennial sono inoltre parte di una generazione che anche quando un lavoro ce l’ha deve fare i conti con una precarietà che rende difficile pianificare la propria vita. A dispetto di questa difficile situazione i giovani italiani sono stati spesso sbeffeggiati dalla classe politica che li ha descritti come “bamboccioni” (Padoa Schioppa), “choosy” (Fornero), “gente che sarebbe meglio levarsi dai piedi” (Poletti). La classe politica ha cercato di dare la colpa della crisi proprio a quel settore sociale che si è trovato suo malgrado a subirne le conseguenze più pesanti.

C’è poco da sorprendersi dunque che i giovani siano così sfiduciati nella politica. Secondo un sondaggio del progetto “Generation What?” il 94% dei giovani non ha fiducia nella politica. Nell’ultima tornata elettorale i millennial hanno mandato un segnale di forte insoddisfazione verso la classe politica esistente. In base allo studio dei flussi elettorali condotto da Swg dopo il 5 marzo, il 43% dei giovani ha votato per il Movimento 5 stelle e il 19% per la Lega, e solo il 12% per il Partito Democratico che è stato per 5 anni al governo. Insomma, i giovani non si sono fatti ammaliare dal appeal giovanilistico di Matteo Renzi né dalla mancetta del bonus giovani.

Il libro I giovani salveranno l’Italia, scritto da 13 ricercatori under 40, tra cui figura il sottoscritto, è una requisitoria contro questa classe politica che hanno deciso di sacrificare un’intera generazione sull’altare dell’austerità. I capitoli del libro analizzano le cause di questo disastro: le politiche neoliberiste che hanno messo il paese in ginocchio, le privatizzazioni che hanno private la nostra economia di aziende strategiche e l’effetto depressivo della politica monetaria della banca europea. Inoltre esaminano le pesanti conseguenze materiali di questa situazione per le giovani generazioni tra cui figura una nuova ondata di emigrazione di massa, che ha visto solo nel 2016 285.000 persone, tra cui moltissimi giovani, lasciare l’Italia.

Il messaggio del libro è che se i giovani sono le prime vittime di questa difficile situazione essi sono pure il settore della società che può invertire la tendenza. Per loro natura i più giovani sono meno inclini a difendere il sistema esistente, hanno meno interessi pregressi da difendere e sono soliti dimostrare più apertura verso il cambiamento politico. A partire dalla crisi del 2008 in molti paesi i millennial sono stati capofila in movimenti di protesta contro l’ingiustizia economica e nel sostegno a candidati progressisti come Bernie Sanders negli Stati Uniti e Jeremy Corbyn in Gran Bretagna. In Italia questa spinta dei giovani per il cambiamento ha premiato finora i 5 Stelle. Ma c’è da aspettarsi che se il movimento fondato da Grillo continuerà il suo spostamento verso destra e abbraccerà politiche che favoriscono la diseguaglianza, come la flat tax proposta dalla Lega di Salvini, essi cercheranno nuovi attori che si facciano portatori di un vero cambiamento a favore delle giovani generazioni e di tutta la società.

Quello che è chiaro è che la misura per le giovani generazioni è colma ormai da tempo e che qualsiasi progetto per il cambiamento del paese e del sistema economico deve partire da loro.

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