E insomma, ieri a un certo punto, sul finire del secondo tempo, la tifoseria juventina ha intonato un coro che recitava pressappoco così: “Salutate la capolista/ salutate la capolista”. Okay: ciao, Juve, ciao. Dopodiché un saluto cordiale anche all’ultima in classifica distanziata, a inizio gara, dalla prima dell’elenco di ben 65 punti. Un divario numerico sostanzioso che in campo, per me che di calcio non capisco nulla, si sarebbe dovuto tradurre nel netto dominio della partita da parte della capolista (da salutare) e in un gioco straordinario e sorprendente da primi della classe.

In verità, però, io che di calcio non capisco una ceppa, di stupefacente ho visto soltanto il primo gol di Dybala e l’ultimo siglato da Douglas Costa e, a ogni modo, confesso di non aver mai esclamato quel “Perdindirindina, però questi come giocano” che, in 31 giornate, ho proferito davanti ad altre formazioni del campionato italiano riconoscendo il valore degli avversari della squadra sannita. Eppure i numeri parlano chiaro e il povero Benevento ha solo 13 punti. Mi aspettavo, questa volta, di rimanere a bocca aperta con gli occhi colmi dell’ammirazione che si prova davanti agli individui migliori di noi anche perché, insomma, 65 punti di distacco sono tanti, sono gli anni di Buffon, no?

Ma io di calcio non capisco niente e allora, al termine di un match che mi ha riempito di punti interrogativi, per comprendere la situazione, sono andata a cercare le statistiche della partita che rimangono, dopo ogni gara, come i fondi del caffè sedimentati sul fondo della tazzina. Tiri totali: Benevento 16, Juventus 15; tiri in porta: Benevento 6, Juventus 5; possesso palla: Benevento 44%, Juventus 56%; calci d’angolo: Benevento 9, Juventus 2.

I dubbi invece di diradarsi si sono moltiplicati. Certo, una partita storta può capitare anche ai campioni, è un dato fisiologico, ma in questi casi, solitamente, non si perde o si pareggia? Per di più con l’ultima in classifica distaccata di 65 punti. 65. Non lo so, non capisco nulla di pallone, però se è vero che il calcio è uno sport è vero anche il detto che precede ogni gara e cioè “che vinca il migliore”. E il migliore, superblasonato e pluripremiato, non dovrebbe impiegare poi molto a essere superiore alla squadra che chiude il campionato. Mi domando allora se per vincere sia necessario accentuare ogni contatto con mimica da storia del cinema, con capitomboli alla Stanlio e Ollio, con le braccia in aria e le gambe in spaccata – ma in natura chi cade al suolo in questo modo?

Se si è forti, ricchi e famosi, perché ridursi così? Che bisogno c’è? Ma non si tratta di una gara sportiva? E se a fine partita, si dichiara pubblicamente che le squadre più deboli si impegnano contro la Juve per fare mostra di sé, non si sta peccando di superbia e perdendo il senso della realtà? I valori dello sport che fine hanno fatto? Sono queste le idee premiate dal campionato italiano? Non lo so, so soltanto che chiaramente non capisco nulla di calcio.

Ps: La quattordicesima edizione del Premio Stregone va alla tifoseria del Benevento che, a fine gara, applaude gioiosamente chi perde.

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