di Pasquale Tridico*, Walter Paternesi Meloni**, Giacomo Bracci***

Ha fatto discutere la proposta recentemente pubblicata su Economia e Politica di finanziare in deficit un reddito minimo per un milione di inattivi proprio tramite il loro reinserimento nel mercato del lavoro. La misura è stata pensata con un duplice effetto: sradicare gli elevati livelli di povertà assoluta che negli ultimi anni sono notevolmente cresciuti in Italia e formare gli individui accompagnandoli nel loro percorso di reinserimento nel mercato del lavoro. In breve, il riconoscimento di un reddito minimo condizionato (RMC) a coloro che volontariamente si registrano presso un centro per l’impiego (passaggio che risulterebbe sufficiente a conteggiarli come disoccupati e non come inattivi) determinerebbe un aumento del tasso di partecipazione e la conseguente revisione a rialzo del Pil potenziale, da cui deriverebbe un maggiore spazio fiscale – ossia la possibilità di realizzare un maggior deficit pubblico.

Principalmente, la misura è stata contestata sotto due aspetti: da un lato, Daniel Gros del CEPS ed altri commentatori l’hanno considerata un semplice “trucchetto contabile” che non troverebbe mai l’approvazione di Bruxelles; dall’altro, dal punto di vista tecnico è stato asserito che l’aumento del tasso di disoccupazione (causato dalla maggiore partecipazione) determinerebbe un automatico aumento della stima del tasso naturale di disoccupazione. Tuttavia, è possibile ritenere che entrambe le critiche (sia quella di carattere politico-istituzionale che quella più tecnica) presentino delle debolezze che di seguito proveremo ad evidenziare.

Asserire che la proposta risponda a logiche squisitamente tecniche significa da un lato legittimarla dal punto di vista statistico (in quanto stiamo misurando gli effetti sul Pil potenziale attenendoci alle procedure usate dalla Commissione Europea), e dall’altro far emergere che una tale manovra, seppur nel perimetro delle regole europee, non sarebbe accettata politicamente. Sorgono tuttavia delle perplessità su quest’ultimo punto alla luce del fatto che alcuni economisti della Commissione Europea (2017) e della Bce (2017) hanno evidenziato come la presenza di molta disoccupazione mascherata da inattività in paesi come l’Italia impedisca di rappresentare adeguatamente la situazione del mercato del lavoro e renda più difficile quell’aumento dell’attività economica che la stessa Bce ritiene fondamentale per il raggiungimento del suo obiettivo di inflazione.

Inoltre, qualora si ammetta che l’aumento del tasso di disoccupazione effettivo abbia effetti sul Nawru – in linea con le argomentazioni avanzate in chiave “isteresi” da autorevoli economisti mainstream (Blanchard, 2017; Cottarelli et al., 2014) – è ragionevole sostenere che un completo riallineamento richieda del tempo, lasciando quindi la possibilità di un aumento iniziale del Pil potenziale. Il modello utilizzato dalla Commissione Europea prevede infatti un’influenza graduale del tasso di disoccupazione effettivo sul Nawru, ed in questa direzione sembra andare anche una recente dichiarazione di Mario Draghi: “Estimates of the size of the output gap have to be made with caution (…) if substantially more workers can be drawn into the labour force, it would be possible for the labour market to strengthen further without generating wage pressures” (Monetary Policy in the Euro Area, Francoforte, 14 Marzo 2018). Se infine, come emerge dal grafico sul caso italiano (dati Ameco), le stime del Nawru sembrano seguire con una certa regolarità i tassi di disoccupazione effettivamente registrati (U), la domanda aggregata aggiuntiva attivata dallo stimolo fiscale insito in questa misura può permette di ridurre la disoccupazione, e pertanto la suddetta “dipendenza” della disoccupazione di equilibrio da quella effettiva indicherebbe che un sostegno alla domanda possa ridurre significativamente – ed in modo persistente – sia il tasso di disoccupazione che il Nawru (Stirati, 2016).

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* Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Economia. Indicato da Luigi Di Maio come ministro del Lavoro di un governo 5 stelle
** Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Economia
*** Università di Trento, Dipartimento di Economia e Management

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