Il 31 marzo ricorre il tredicesimo anniversario della morte di Terri Schiavo. La sua è stata una delle prime clamorose vicende legate alla eutanasia. Ricordo per sommi capi la sua storia.

Theresa Marie Schindler Schiavo, detta Terri, è una impiegata di 27 anni che il 25 febbraio del 1990 venne ritrovata per terra a casa sua dopo un grave collasso. Il suo cervello rimane senza ossigeno per diversi minuti e Terri entra in stato vegetativo.

Solo dopo otto anni – nel 1998 – il marito (e tutore) di Terri, Michael, chiede che sia staccato il sondino che la tiene in vita. Alla sua richiesta si oppongono però i genitori, Bob e Mary Schindler, sostenuti da una intensa campagna delle associazioni pro-life.

Nel 2001 la Corte d’appello conferma la decisione del giudice della Florida George Greer: il sondino di Terri viene staccato la prima volta. È il 24 aprile: la donna rimane senza cibo e acqua per due giorni, finché il giudice Frank Quesada ordina che l’alimentazione e l’idratazione artificiali riprendano.

In seguito i genitori di Terri tornano in appello con la testimonianza di sette medici secondo i quali lo stato vegetativo della figlia non è irreversibile. Ma nel 2003 arriva una nuova sentenza: il 7 ottobre il sondino viene staccato per una seconda volta. Ci vogliono sei giorni prima che la decisione sia annullata: in extremis, il 21 ottobre, il Parlamento statale approva la prima cosiddetta “legge salva-Terri“. Lo stesso giorno George W. Bush ordina che il sondino sia riattaccato. Una autentica, efferata tortura.

Due anni dopo, l’epilogo: il 18 marzo del 2005 viene autorizzata per l’ennesima volta la rimozione del sondino che alimenta Terri. Il 31 marzo, dopo 14 giorni di agonia, Terri muore.

La vicenda, per molti anni, divide l’opinione pubblica americana in due “partiti”. Il suo lungo iter fa registrare decine di processi e di interventi della Corte suprema, oltre ad una citazione a giudizio del comitato del congresso per far entrare la Schiavo nel “programma di protezione delle vittime”. Dobbiamo anche alla tragedia di Terry se prima l’Oregon (nel 1997) e poi gli Stati di WashingtonVermontCaliforniaMontana e Colorado hanno approvato leggi che autorizzano l’eutanasia.

Ma la sua vicenda ha influenzato fortemente anche il dibattito in Europa, favorendo la legalizzazione della eutanasia in Olanda nel 2002 e successivamente nel Belgio, nel Benelux, e in parte della Spagna. Oppure facilitando l’approvazione di leggi – come quella francese sul laisser mourir – che si avvicinano molto alla eutanasia.

Durante gli ultimi anni prima della sua morte, il dramma di Terri si affianca a quello di Eluana Englaro, che balza alla ribalta della cronaca per la battaglia intrapresa dal padre Beppino al fine di consentire alla figlia di morire dopo anni in stato vegetativo (dal 1992, quando aveva avuto, a 17 anni, il suo fatale incidente d’auto).

Anche in questo caso l’Italia si è spaccata, più ancora che nella vicenda di Piergiorgio Welby, che aprì il dibattito sul fine vita in Italia ma si risolse in tempi più ragionevoli. Per Eluana scesero in campo la Chiesa e i teodem – con manifestazioni di piazza (i ceri, le bottigliette d’acqua, le processioni) che sembrarono riportare il nostro Paese ai tempi bui della Inquisizione – con il Governo che vara un decreto per impedire a Eluana di trovare pace e alcuni senatori che, all’arrivo in aula della notizia della sua morte, imprecano contro Beppino urlando “assassino”.

È bene ricordare queste non lontane vicende per prendere atto che le battaglie del marito di Terri e del padre di Eluana hanno segnato una strada da cui non si potrà tornare indietro.

Così come hanno influito sulla opinione pubblica dei loro Paesi tantissime storie simili, che sarebbe giusto ricordare: penso a personaggi come Hugo Claus, il più grande scrittore fiammingo, che a 79 anni scelse di morire tramite “sedazione palliativa, eutanasia attiva per mezzo di farmaci”. O ai due francesi che animarono a lungo il dibattito sulla eutanasia: Chantal Sébire, una donna di 52 anni orribilmente sfigurata in volto da un tumore; Vincent Humbert, il giovane tetraplegico che sua madre aiutò a morire nel 2003. Due casi che portarono alla approvazione della “Loi Leonetti”, nel marzo del 2008.

È anche grazie a loro se in tanti Paesi del mondo – l’elenco sarebbe davvero lungo – si è giunti alla legalizzazione della eutanasia o almeno a leggi decenti sul fine vita.

Nel dar vita ad un ampio Intergruppo di deputati e senatori, noi della Associazione Coscioni abbiamo trovato una serie di parlamentari di ogni tendenza politica. E siamo particolarmente lieti del fatto che il primo firmatario della legge sul biotestamento – una conquista non meno importante del divorzio e dell’aborto – sia stato un deputato del Movimento 5 stelle, Matteo Mantero.

Questo ci fa ben sperare per la rinnovata battaglia che intendiamo intraprendere al più presto in un Parlamento in cui i pentastellati avranno comunque un ruolo determinante, a partire dal Presidente della Camera Roberto Fico, che già prese aperta posizione in favore della legge sul biotestamento.

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