Ci sono minorenni, svegliati all’alba, portati in un appartamento con alcuni ‘miscredenti‘: uno dei minori punta la pistola alla tempia di uno di loro il quale, pur di sottrarsi al colpo, si lancia dalla finestra. E poi ci sono anche video di bambini che sgozzano delle persone. Sono queste alcune delle immagini mostrate dal 59enne di origine egiziana Abdel Rahman arrestato ieri a Foggia per terrorismo internazionale, ai suoi alunni, bambini di età compresa tra i 4 e i 10 anni che frequentavano le lezioni di religione nell’associazione culturale Al Dawa. Le loro famiglie – definite “sane” dagli inquirenti e ben integrate nella comunità foggiana – ignoravano il contenuto delle lezioni del “cattivo maestro“, così come definita l’operazione della Procura di Bari. Non sapevano che il 59enne diceva ai suoi allievi bambini, di “vivere isolati, fuori dal mondo”. “Le loro feste sono maledette“, diceva riferendosi a Natale e Carnevale. Ora toccherà al Tribunale per i minorenni di Bari, su segnalazione della Procura Antimafia, fare la conta dei danni. Comprendere – attraverso la competenza degli esperti – se le immagini crude e i messaggi di violenza, potrebbe aver generato turbamenti.

Le indagini coordinate dalla Procura del capoluogo e dirette dagli investigatori della Digos di Bari agli ordini di Michele De Tullio, proseguono. Già ieri nel capoluogo Dauno sono state effettuate altre due perquisizioni domiciliari nei confronti di immigrati con regolare permesso di soggiorno. Persone con il quale il 59enne arrestato intratteneva rapporti telefonici e con cui condivideva materiale sui social. Le indagini hanno oltrepassato i confini pugliesi. A Ferrara, in Emilia Romagna, infatti, sempre nella giornata di ieri è stato sequestrato altro materiale – ora al vaglio degli investigatori – a un uomo, che risulta indagato. Anch’egli immigrato e legato a Abdel Rahman. Insomma, un fiume di video e di materiale che inneggia al terrorismo, alla violenza e che attraverso le condivisioni sui social crea contatti tra individui su tutto il territorio nazionale. Continuano anche le indagini sui conti patrimoniali dell’arrestato da parte degli uomini del Gico del capoluogo che hanno collaborato all’operazione. I militari hanno scoperto una sproporzione tra le fonti di reddito lecite e le entrate effettive dell’uomo. Le indagini sono state supportate anche da numerose segnalazioni di operazioni sospette compiute con sua moglie, Vincenza Barbarossa, di 79 anni, che hanno evidenziato una disponibilità economica dei due sproporzionata rispetto ai redditi dichiarati, nel periodo dal 2011 al 2017. L’ ipotesi è che il 59enne ricevesse il denaro attraverso la cosiddetta «zakat», una sorta di raccolta fondi tra i musulmani che frequentavano la moschea Al Dawa, gestendo il denaro accumulato in maniera poco trasparente. Gli investigatori non escludono che parte del denaro sarebbe potuto servire a finanziare la cellula terroristica.

Le comunità islamiche a Bari e nella Bat – Sono quindici le comunità islamiche presenti su Bari e nella Bat e che sino ad ora – quando necessario – hanno sempre collaborato con le forze di polizia anche fornendo informazioni sui frequentatori di questi luoghi. Porte aperte, quindi, per consentire anche – come accade nella comunità islamica barese – uno scambio culturale e religioso che vada oltre il pregiudizio spesso diffuso. “La nostra attenzione nei confronti di questi luoghi – spiega l’investigatore – è anche finalizzata a garantire sicurezza ed evitare eventuali episodi di islamofobia“.

Bari supporto logistico – Già dal 2015 la Direzione Nazionale Antimafia, nel suo rapporto annuale aveva ipotizzato che il porto levantino venisse utilizzato da terroristi desiderosi di infiltrarsi nel nostro Paese. Nel rapporto della Dna relativo al periodo luglio 2013 – giugno 2014 si sottolineava anche il rischio che il porto di Bari potesse divenire “una enclave territoriale controllata dalla criminalità straniera”. Gli uomini dell’Antimafia avevano citano, a supporto delle proprie tesi, i “molteplici, eterogenei e quotidiani sequestri e arresti operati nel porto di Bari, transito naturale per tutti i traffici illeciti che passano attraverso i paesi balcanici e, in particolare, stupefacenti, armi, merci contraffatte, rifiuti e medicinali”. Un ambiente a fortissimo rischio di infiltrazioni criminali, quindi. Basti ricordare l’arresto – nel dicembre 2015 – da parte degli uomini della Digos di Majid Muhamad, iracheno, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nell’ambito di una indagine sul terrorismo di matrice islamica. Il 45enne aveva favorito l’ingresso in Europa di soggetti collegati alla cellula terroristica italiana del gruppo Ansar Al Islam. Era a Bari da molti mesi, dopo aver scontato una condanna a dieci anni per terrorismo internazionale ed era in contatto con Ridha Shwan Jalal, arrestato al porto del capoluogo, proprio nel giorno in cui da quello scala si imbarcava Salah Abdeslam, uno dei pianificatori degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Tante le operazioni precedenti e successive che evidenziano un costante monitoraggio da parte della Digos – ma anche di tutte le forze di polizia – che sul territorio pugliese, e a Bari in particolare, lavora a stretto contatto con gli uffici di tutto il territorio nazionale.

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