Non sappiamo quando è successo, né com’era prima. Quello che sappiamo, la memoria di un’Italia migliore, ce l’hanno raccontata generazioni più fortunate. Un Paese prospero, magari imbellettato come quando a parlare è la nostalgia.

La nostra Italia è diversa, la nostra fa spallucce a tutto. Siamo troppo giovani per conoscere il benessere e la giustizia sociale, troppo vecchi per continuare a credere di essere il nuovo che avanza. Ci hanno rubato le opportunità, ed è ora che ce lo mettiamo in testa.

Siamo cresciuti nell’illusione di una meritocrazia scolastica: studi? Avrai un voto alto. Hai una bella pagella? Meriti di andare all’università. Ti laurei? Per te un lavoro, una casa, il futuro. Falso.

Tolte le eccezioni sacrosante, tolti “i figli di”, la nostra generazione brancola nel niente. Siamo quelli che i nostri voti li chiamano “protesta”, quelli che non hanno la busta paga per il mutuo, che non timbrano i cartellini, che ogni concorso ci ritroviamo in diecimila, che guidano l’auto dei genitori, che non avranno una pensione, che non possono permettersi dei figli. Noi non abbiamo avuto quello che avete avuto voi, e non ci avete spiegato nemmeno perché.

Un’idea ce la siamo fatti, terribile: la colpa è vostra, cara mamma e caro papà. Ci avete protetto e sostenuto, amato oltre l’immaginabile, e ancora oggi ci permettete di tentare e tentare. Ma intanto avete dimenticato di badare al Paese, all’onestà e al merito, alla legalità e ai doveri. Disinteressatamente avete lasciato carta bianca a un’oligarchia ruffiana e incompetente disboscando i valori di un’Italia che adesso frana, convinti che il benessere fosse eterno e dovuto, semplicemente scontato. Avete sbagliato, peccato.

Ma in fondo, anche in questo, ci avete cresciuto. Arriva un’età, e noi “bamboccioni” dovremmo averla raggiunta, in cui sai cosa vuoi essere ma anche cosa non vuoi diventare. Noi sappiamo di dover essere migliori. Amare i figli, che chissà se avremo, come voi; seminare futuro, più di voi.
Non lo faremo per noi stessi: il mondo corre e il nostro tempo è andato. Lo faremo per quelli che verranno dopo, perché è giusto. Sentiamo la responsabilità e il sacrifico come chi 70 anni fa ricostruì l’orgoglio umiliato. Siamo la generazione cancellata, e proprio per questo non possiamo esimerci dallo scrivere un’Italia migliore.

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