Venerdì 23 febbraio, dopo tre ore di udienza, il tribunale di Lucca ha revocato un  provvedimento di allontanamento di un minore dalla madre che aveva subìto violenza dall’ex e paradossalmente era stata giudicata adeguata ma ostativa nella relazione tra il padre e il figlio. D.i.Re nei giorni precedenti, prendendo spunto dal caso aveva preso una posizione contro quelle prassi  che attribuiscono la paura e l’ansia di donne e minori vittime di violenza all’alienazione parentale invece che alle conseguenze del trauma della violenza.

L’Ap o ex Pas (Parental Alienation Syndrome), continua a trovare applicazione nei Tribunali italiani durante le cause di separazione e di affidamento dei figli anche se colpevolizza le donne vittime di violenza  e si accanisce su bambini che assistono a maltrattamenti.  “Madre ostativa”, “Madre impeditiva nella relazione col padre” questa è l’etichetta cucita addosso alle donne che sono state picchiate e umiliate davanti ai figli anche per anni e quando denunciano invece di ottenere il rispetto dei loro diritti sono ritenute responsabili per le conseguenze che il trauma della violenza ha lasciato nei figli o in loro stesse. Spesso l’autore di maltrattamenti e di violenze è al contrario sollevato da ogni responsabilità per la sofferenza causata e non risponde delle conseguenze delle sue azioni. L’imposizione a ogni costo dell’affido condiviso espone le donne e i figli all’arbitrio di uomini violenti che vogliono punire la ex che ha osato lasciarli o denunciarli. “Ti porterò via i figli” è sempre stata la minaccia che i maltrattanti rivolgono alle compagne per metterle a tacere. E’ possibile che l’istituzione si renda strumento di una ritorsione in nome del padre, qualunque padre esso sia?

Durante una conferenza stampa organizzata da D.i.Re, che si è tenuta al San Luca Palace Hotel, poche ore prima dell’udienza, sono intervenuta come consigliera D.i.Re e  attivista del Centro antiviolenza Demetra insieme a Manuela Ulivi (che in tribunale a Lucca rappresentava la madre del minore) presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano. Con noi anche Giovanna Zitiello della associazione Casa delle donne di Pisa e della Rete Tosca e Daniela Caselli del Centro antiviolenza Luna di Lucca. In sala Ersilia Raffaelli del Centro antiviolenza di Viareggio ha espresso solidarietà e sostegno alle donne rivittimizzate dalle istituzioni.

In rappresentanza di D.i.Re abbiamo incontrato i giornalisti per denunciare come le relazioni dei servizi sociali, le Ctu (consulenze tecniche d’ufficio) e i provvedimenti dei tribunali ri-vittimizzano le donne e i bambini quando non tengono conto  delle violenza familiare in violazione della Convenzione di Istanbul. “C’è una filiera – ha detto Manuela Ulivi – fatta dal servizio sociale, dalla consulenza tecnica d’ufficio e dal tribunale che crea il convincimento finale che la madre abbia la colpa del rifiuto del padre. Ci indigna che per far valere un’autorità paterna si spezzi la vita di un minore allontanandolo da affetti, relazioni con compagni si scuola, educatori e insegnanti. Dovremmo fare cause di risarcimento del danno contro le istituzioni quando allontanano i bambini che hanno paura del padre violento perché la Convenzione di Istanbul lo prevede”.

Quello di Lucca non è un caso isolato. Durante le Ctu e l’esame delle competenze genitoriali le violenze commesse da padri svaniscono come neve al sole. I pestaggi e gli insulti contro la compagna o la moglie davanti ai figli? Conflitto di coppia. La violenza assistita e le sue conseguenze? Solo materia in qualche convegno in occasione del 25 novembre. Si svela la violenza come fenomeno culturale e sociale, si invitano le donne a denunciare penalmente ma poi, in sede civile, le si ritiene responsabili della qualità della relazione tra il padre che ha agito violenza e il figlio. Una schizofrenia di sistema in violazione dell’articolo 31 della Convenzione di Istanbul che prescrive di prendere in considerazione la violenza nelle cause di affidamento dei figli e che nello stabilire i diritti di visita o di custodia non vengano compromessi i diritti e la sicurezza della vittima e dei bambini.

Il trattato  ha un valore superiore a quello della legge ordinaria perché è fonte di diritto internazionale ma nei tribunali italiani e presso i servizi sociali accade troppo spesso che sia carta straccia. Così ci sono casi di uomini che nonostante denunce e condanne anche se non hanno cessato comportamenti vessatori ottengono l’affidamento condiviso. O le donne si piegano alle loro continue rivalse o rischiano di non vedere più i figli. Ma è venuto il momento di dire basta e svelare le smagliature e le contraddizioni di un sistema che penalizza chi ha vissuto sulla propria pelle il trauma della violenza. Le istituzioni non devono lasciare le donne ostaggio degli ex e hanno l’obbligo di mettere in atto tutte le misure e le direttive internazionali volte a proteggere le donne e i minori che hanno vissuto violenza familiare. Lella Palladino, presidente D.i.Re ha detto che si continuerà a denunciare ogni tentativo di utilizzare la alienazione parentale contro le donne che denunciano uomini maltrattanti con la speranza che “il dialogo che si è aperto tra la Rete e la magistratura porti nel futuro a un cambiamento”.

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