C’è un luogo nella mia biblioteca concreta e mentale che si chiama Non aver paura di essere onesto. Lo metto lì, Flavio Fusi, in quella terra di grandi reporter, insieme ad Aidan Hartley, Ryszard Kapuściński, Tiziano Terzani, Azra Nuhefendić, Peter Froberg Idling, Robert Fisk. Cronache infedeli (Voland), il suo primo vero libro dopo una vita passata a documentare e a documentarci sulle crisi internazionali e i mutamenti della Storia, è un testo straordinario fatto di piccoli gesti quotidiani, disgregazioni umane all’ombra dei grandi eventi, dolori e speranza ai margini degli imperi massmediatici.

Partendo dall’assunto che il cronista non può essere giudice, ma sempre complice di quello che sta accadendo intorno a lui, l’autore accompagna il lettore in un mondo che spesso non si vuole osservare da vicino, anche se per comprenderlo sarebbe necessario.

E così ci troviamo nella Sarajevo dell’assedio, la “città dei sequestrati”, tra la vitalità di chi nella conca prova a vivere, nonostante tutto; tra le coraggiose redazioni dei quotidiani indipendenti del Chiapas e nel cuore del Distrito Federal nel giorno della vittoria, prima che l’indifferenza provasse a cancellare la gloriosa lotta zapatista; nel Nigaragua di ieri e di oggi, tra gli entusiasmi della rivoluzione e gli strascichi rappezzati del presente; nel giorno del disfacimento della DDR, nella notte dei sogni interrotti, dei picconi contro il muro, della vorace sete di assorbimento di un Occidente ottuso quanto i burocrati d’Oltrecortina; l’Argentina degli scomparsi, torturati dalla dittatura e dalla guerra delle Malvinas; la Cuba del mito fidelista e dei palazzi scrostati dalla salsedine.

E poi la disgregazione dell’Impero sovietico, l’esplosione dei Balcani, le follie caucasiche, fino all’Africa nascosta endemicamente da notizie più d’impatto, l’elezione di Mandela, la carneficina ruandese, l’idiozia di Kabila. E i muri, muri da tutte le parti, in ogni latitudine: Berlino, Palestina, Rio Grande. Nord e sud, est e ovest divisi da budget economici e sete di potere. La chiusa non poteva che essere dedicata alla poetica della violenza statunitense, analizzata a 360 gradi con esempi di disagio e orrore quotidiano, emblema di un modello che ama trasmettere bollettini militari per farsi grande.

Cronache infedeli è stata per me una meravigliosa sorpresa. Un libro che ho divorato e dove mi sono umanamente ritrovato. Flavio Fusi è davvero un reporter eccezionale. Parafrasando Aidan Hartley, altro straordinario giornalista poco conosciuto in Italia, questo testo fatto di ricordi e documentazioni potrebbe essere riassunto con una semplice frase: “Ciò che resta nella memoria è l’amore”.

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