E’ stato il più grave disastro della marineria italiana nel Dopoguerra. Eppure due mesi dopo la collisione tra il Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo, a Livorno, gli armatori e le loro assicurazioni si erano già messi d’accordo per non farsi la guerra. Un’intesa utile a “non attribuirsi reciproche responsabilità” come dice la relazione conclusiva della commissione d’inchiesta del Senato sul disastro. Un accordo che, soprattutto, ebbe l’effetto di mettere il silenziatore all’inchiesta penale che a fatica stava cercando di mettere insieme i pezzi di una vicenda enorme. L’accordo transattivo tra Navarma (ora Moby) e Snam (allora società di Stato del gruppo Eni, dal quale è stata scorporata nel 2012) è uno degli aspetti inediti  – documentato da carte finora sconosciute – della relazione sul disastro navale del 10 aprile 1991, nel quale morirono 140 persone. Un documento che la commissione – presieduta da Silvio Lai (Pd) – è riuscita a recuperare solo grazie a un blitz dello Scico, il reparto speciale della Guardia di Finanza, dopo che le compagnie assicurative avevano risposto formalmente di non avere la documentazione richiesta.

Il documento fa sì che per la prima volta dopo 27 anni la luce – dopo anni di dubbi, incertezze, mezze verità – cada anche sugli armatori, così come non è mai successo nelle due inchieste condotte dalla Procura di Livorno a distanza di 15 anni, dopo la strage e poi nel 2006. Eppure materiale su cui lavorare ce n’era. La commissione per esempio (a distanza di così tanto tempo) con un incrocio di documenti ha scoperto che la petroliera non era arrivata a Livorno dall’Egitto come dichiarato dalla Snam, ma più probabilmente da Genova. E, dall’altra parte, le posizioni di Vincenzo Onorato e Navarma non sono mai state approfondite perché per un errore – mai corretto – i pm di Livorno indagarono il padre dell’armatore, Achille.

La pace scoppiata prima ancora della guerra
Così ora si scopre che il 18 giugno 1991, a Genova, Navarma con le proprie compagnie assicurative e Snam insieme alle sue firmarono la pace prima ancora di iniziare una guerra. Una decisione singolare almeno secondo logica. Da una parte infatti la compagnia di traghetti che aveva già saputo dai suoi periti che la petroliera al momento della collisione della sera del 10 aprile si trovava all’ancora in un’area di divieto. Una tesi contestata in audizione in commissione da Onorato secondo cui, dentro o fuori l’area di ancoraggio, l’Abruzzo era la nave che era stata travolta. E dall’altra parte la scelta dell’intesa fu anomala anche per Snam visto che era stato appunto il traghetto a travolgere la petroliera, lì ferma da un giorno interno. Era ancora l’inizio dell’indagine, insomma, doveva essere definito ancora tutto: tutti i giocatori avevano motivo di giocare la propria partita.

Cosa decise l’accordo
Invece no. Due mesi e una settimana più tardi la Navarma firmò l’accordo che la impegnava innanzitutto a liquidare tutte le richieste di risarcimento delle famiglie dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio. Poi a unirsi nella difesa con Snam se qualcuna delle famiglie delle vittime avesse voluto rivalersi contro l’azienda di Stato. Terzo: rinuncia a qualsiasi richiesta di indennizzo nei confronti di Snam per eventuali “eventi inquinanti“, danni al traghetto, conseguenze economiche, costi di soccorso. Quarto: Snam rinuncia a ogni pretesa nei confronti di Navarma.

I dubbi della commissione
Per la commissione d’inchiesta l’accordo assicurativo “pone alcuni dubbi circa i contenuti e i tempi nei quali è stato sottoscritto”. Soprattutto perché “pone una pietra tombale su qualunque ipotesi conflittuale sulle responsabilità”. Snam paga i danni della petroliera e dell’inquinamento dovuto agli sversamenti in mare, Navarma paga i familiari delle vittime.

Gli effetti dell’accordo
L’intesa ha diversi effetti. Il primo è che Navarma avvia subito il risarcimento delle famiglie, mettendole così fuori dal processo. Il secondo è che ha un effetto frenante sull’inchiesta penale, contribuendo come minimo ad abbassare l’attenzione, ma anche di far passare il messaggio che Snam era la vittima di tutta la vicenda e che non c’era bisogno di altre indagini. E infatti così è stato: tre mesi dopo la tragedia, incredibilmente, la petroliera viene dissequestrata senza che a bordo sia stata fatta una sola perizia (fu effettuato solo un sopralluogo di gruppo durato come una passeggiata). Ad oggi, infatti, di Agip Abruzzo – demolita nel 1992 tra Las Palmas e il Pakistan – si conoscono solo informazioni in autocertificazione, fornite dalla Snam.

Il Moby valutato 7 miliardi e assicurato per 20
E Moby? Cos’aveva da guadagnarci? E’ l’altra palla che va in buca, con un altro aspetto che la commissione d’inchiesta definisce “anomalo“. Il Moby Prince infatti a bilancio aveva un valore di 7 miliardi di lire, ma era assicurato per 20. E la compagnia ha liquidato la cifra per la perdita totale della nave già nel febbraio 1992 quando la fine dell’inchiesta era ancora lontana e Achille Onorato era ancora indagato. “Il fatto – annotano i senatori nella relazione conclusiva – è stato certamente favorito dall’accordo armatoriale del giugno 1991”. Tutti elementi – conclude la commissione – che, ancora una volta, mettono in evidenza indagini “inadeguate e lacunose” sulla gestione armatoriale, prima e dopo l’evento.

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