C’è la lista, pare lunghissima, degli ex di altri partiti e praticamente di tutto l’arco parlamentare: Pd, Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia. Ma anche Idv, Pds o Pci. Poi i “dissidenti“, quelli che in pubblico più o meno recentemente hanno parlato male del Movimento. Quindi tutti coloro che “potrebbero danneggiare l’immagine del M5s perché in rete e con nome e cognome hanno parlato di cose come le scie chimiche o i complotti. Nella cartella degli esclusi alle parlamentarie M5s ci sono decine di candidature di chi dai piani alti non esitano a chiamare “gli infiltrati”, ovvero le pedine più deboli che potrebbero mettere in crisi il gruppo una volta in Parlamento. Fuori per primi quelli che hanno avuto problemi con la giustizia, silurati pure i “truffatori” come ad esempio il furbetto che si è spacciato per “falso dentista” ed è stato beccato con una semplice ricerca su google. Il voto in rete che porterà alla formazione delle liste è partito martedì mattina (sarà aperto fino a mercoledì almeno) e, mentre c’è chi lamenta “esclusioni ingiuste” e denuncia errori burocratici su una piattaforma che anche oggi ha fatto vedere tutti i suoi limiti di funzionamento, i vertici si dicono soddisfatti per quella prima selezione fatta in fretta e furia. Eppure, da Nord a Sud, gli attivisti che gridano all’ingiustizia sono tanti: “Voto da rifare”, “bufala”, “tradimento”, scrivono. Non sono in corsa anche due parlamentari uscenti: Roberto Cotti e Francesco Cariello. Esclusi pure il vignettista Mario Improta (Marione) e l’ex assessore al Bilancio di Roma Andrea Mazzillo che però dice di “essere fiducioso per una soluzione”. Sarà, ma in quella scrematura, confermano fonti M5s a ilfattoquotidiafno.it, non ci sono errori. Almeno non che siano stati rivelati per il momento.

Per la prima volta e come da regolamento, tutti coloro che hanno dato la disponibilità a partecipare alle primarie sono poi stati sottoposti al giudizio di Luigi Di Maio e Beppe Grillo. La selezione successiva in realtà è stata opera collettiva, con i referenti più fidati di ogni regione in campo per suggerimenti e individuare i nomi migliori. Oltre naturalmente a chi aveva carichi penali pendenti che, salvo eccezioni, è stato depennato, sono saltati anche tutti coloro che in passato hanno corso con altri partiti contro il Movimento 5 stelle. C’erano, segnalano fonti M5s, persone che erano già state in lista con Ignazio Marino a Roma, Giuliano Pisapia a Milano, Luca Zaia in Veneto. E non solo semplici militanti, ma ex assessori di Comuni di grandi dimensioni o coordinatori dei partiti a livello locale. E’, almeno per il momento, rimasto escluso anche Andrea Mazzillo, ex assessore al Bilancio a Roma che se ne andò in polemica con la gestione della sindaca Virginia Raggi. Lui dice di essersi mosso perché quello che sembra un errore sia risolto: “Sono fiducioso”, ha detto, “che troveremo assieme allo staff una soluzione in tempo utile per permettere a migliaia di cittadini romani di esprimere liberamente le loro preferenze. Appena avremo novità ve le faremo sapere tramite canali social e istituzionali”. In realtà, il sospetto confermato da più voci è che sia stato fatto fuori volutamente. Il vero timore è quello dei volta gabbana e di chi, una volta entrati, potrà fare polemica: le liste sono state depurate anche per questo motivo.

Nei singoli collegi poi, sono tante le storie di dissidenti più o meno “di peso” che non si sono trovati nelle liste finali. Ad esempio in Emilia Romagna, terra di grandi terremoti in casa 5 stelle negli ultimi anni, non ce l’ha fatta Pietro Vandini, ex consigliere comunale a Ravenna e volto noto nelle fila di chi non si è mai tirato indietro quando c’era da esporre posizioni critiche sul Movimento e da sempre vicino all’ex di Parma Federico Pizzarotti. Proprio su Parma risultano escluse anche Cinzia Ferraroni e Barbara Miele, entrambe grilline e fiere oppositrici del primo cittadino, ma entrambe con un cv che non è stato ritenuto idoneo: la prima ex Pd e la seconda comparsa in piazza alla manifestazione sulla sicurezza dei mesi scorsi e a cui partecipò anche Casapound. “Io ero in piazza come presidente del comitato donne per la sicurezza”, ha specificato. “Chiedo ufficialmente spiegazioni allo staff sul motivo della mia esclusione dopo anni di attivismo a fianco del M5s”. Fuori anche  il papà di Marcello Frigeri, portavoce del primo cittadino, e Andrea D’Alessandro che, ai tempi della scissione era rimasto nel Movimento, ma, da esterno, ha votato con la maggioranza. “Ho agito valutando atto per atto”, ha spiegato, “e per rispettare il programma del Movimento. Queste primarie sono una farsa”. Le polemiche di chi non ce l’ha fatta riguardano però tutta Italia: in Puglia ad esempio è rimasto fuori Mario Giugno, che a settembre aveva fondato un nuovo Meetup, ma anche Stefano Alparone, ex consigliere comunale a Brindisi o l’ex candidata in Regione Caterina Vitiello. In Sicilia, dove nei mesi scorsi le guerre fratricide interne non sono mancate, ci sono gruppi di persone che dicono di essere state cancellate dalle liste: “Vi prego di attendere per votare la mia candidatura E votare in genere”, ha scritto ad esempio Daniela Morfino, attivista di Marineo (Palermo). “Ho ricevuto tante chiamate perché non mi trovano in lista! Calma, stanno provvedendo!”. E ha chiesto anche di “annullare le votazioni perché falsate. Sono stati inseriti attivisti che non hanno neanche presentato la disponibilità alla candidatura ed attivisti esclusi senza motivazione e che hanno presentato la disponibilità come me”. In realtà, fanno sapere dai vertici, era tutto previsto.

Quello che lamentano i militanti e aspiranti candidati è di non essere stati avvisati per tempo e di aver scoperto a cose fatte di non essere stati scelti. E’ il nuovo corso del Movimento, annunciato in sordina con il cambio dello statuto e ora alla prova dei fatti. Uno dei tanti segnali? Al momento di selezionare i nomi da votare, l’elettore M5s poteva identificare i parlamentari uscenti perché evidenziati in grassetto. “Una scelta per favorire la riconferma degli uscenti se hanno operato bene”, dicono. Segno tangibile, come dichiarato dallo stesso Luigi Di Maio, che “uno non vale l’altro”.

*aggiornato da redazione web il 17 gennaio alle 17

 

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