La notizia è che Facebook ci vuole bene, ha a cuore il nostro benessere e ha deciso quindi improvvisamente di dare priorità alle interazioni significative, come quelle tra parenti e amici: lo ha annunciato Mark Zuckerberg in un post del 12 gennaio scorso sul suo profilo Facebook, spiegando al mondo che anche se la gente sarà forse meno connessa al social, lo farà però in maniera certamente più ricca e significativa. Grazie a un algoritmo nuovo di zecca studiato a tavolino con ricercatori e studiosi. Molto meno visibili saranno invece le pagine delle aziende e dei brand, pubblicità brutta e cattiva che sporcherebbe il News Feed, proprio come gli articoli e i video di approfondimento, fruiti troppo passivamente e dunque secondari, sempre secondo le parole di Zuckerberg.

C’è chi ha interpretato la nuova svolta in modo positivo, come un segno della volontà di Facebook di tornare all’antico, al vecchio buon social dove gli amici si scambiano opinioni e foto di compleanni. C’è chi ha scritto che le aziende si devono adeguare al nuovo regime, perché comunque Facebook resta uno strumento formidabile per lavorare e dunque bisogna fare buon viso a cattivo gioco, nonostante tutto. Guru del web come Marco Montemagno hanno scritto che cioè che conta è saper comunicare, non la piattaforma su cui si comunica, che può cambiare o evolversi in direzioni inaspettate. Ma Montemagno – portavoce della filosofia ottimistica secondo cui i freelance di talento non hanno mai nulla da temere – parla di eccezioni, appunto, o di aziende o personaggi pubblici da milioni di seguaci, che certo possono migrare dove credono. Ma non di milioni di persone normali e poco famose che comunque hanno una piccola attività su Facebook che stanno cercando di far crescere con fatica e che rappresenta magari una delle poche strade a disposizione in un’economia in crisi e bloccata

Io la vedo in maniera radicalmente diversa.

Per sei motivi:

1.“Dare più spazio agli amici” e ridurre la visibilità delle pagine aziendali significa soprattutto una cosa: alzare la posta per le aziende, che dovranno sborsare molti più soldi, investendo ancora più denaro in sponsorizzazioni furiose. Letta in questo modo, l’afflato buonista appare molto più ipocrita e sarebbe stato molto più corretto annunciarlo con questo titolo: “Facebook, d’ora in poi le aziende dovranno pagare di più”.  Il nuovo algoritmo danneggerà milioni di piccole aziende e associazioni che ormai su Facebook lavorano, molte delle quali magari non saranno in grado di reggere il calo di visibilità improvviso. Chi darà loro voce? Chi le difenderà? Nessuno, con certezza, perché non c’è margine di discussione.

2. Ma poi, perché dare la priorità ai post degli amici aumenterebbe il nostro benessere e quello delle nostre comunità? Siamo davvero sicuri che la qualità della nostra vita sia data dal condividere e commentare post su gatti, cani, bambini, parti, compleanni, malattie e dintorni? E che la ricchezza di un post siano solo interazioni, cioè commenti, anche se fatti di cuoricini, sorrisi e auguri, tutti uguali? Le emozioni veicolate su Facebook sono spesso fini a se stesse. Ci sentiamo meno soli, certo, ridiamo o piangiamo per una foto, ma la vita è fatta anche di riflessione, critica, discussione su temi che riguardano il vivere comune, la qualità della nostra democrazia, e molto altro. Altrimenti si tratta solo una continua celebrazione del privato, in una bolla autoreferenziale che alla lunga ci rende persino stupidi, “privati”, appunto di altre dimensioni fondamentali per una vita davvero ricca e piena.

3. La decisione di puntare tutto sui profili privati non è inoltre priva di altre conseguenze. Se il faro si accende su di noi, ciò significa che saremo ancora più visibili, studiati, profilati in maniera dettagliata. Facebook saprà probabilmente ancora più di noi, e questa profilazione, appunto, è strategica ai fini della pubblicità. Altro che, di nuovo, i buoni sentimenti (pensate solo a quante app Facebook vende i nostri dati, sia pure con il nostro formale assenso).

4. Il quarto punto guarda noi, giornalisti e giornali. A differenza di quanto aveva detto tempo fa, annunciando la volontà di fare un accordo con i giornali per la diffusione delle news di qualità, ora Facebook annuncia che le notizie e gli approfondimenti saranno meno visibili, danneggiando non solo editori e giornali ma soprattutto stabilendo, in maniera paradossale, che la lettura silenziosa di un articolo ha un valore minore di un commento, magari su una torta di compleanno o un nuovo completino. Per Zuckerberg la lettura è fruizione passiva, punto e basta, e pazienza se magari ha generato idee, o contribuito a far cambiare idea, a beneficio della verità.

5. Se facciamo due più due, ecco che l’intenzione passata di combattere le fake news sembra essere completamente archiviata. Se infatti ciò che conta sono soprattutto le opinioni e gli scambi tra parenti e amici, a scapito di contenuti di approfondimento,  la fake news avranno via libera, perché la questione della verità di un contenuto non si pone minimamente. Ciò che interessa Facebook è solo l’interazione tra persone, indipendentemente da ciò che viene detto e sostenuto, al di là del controllo ottuso di parole chiavi vietate, senza neanche controllare il contesto in cui sono inserite, con esiti spesso assurdi e paradossali. È il fallimento della verità, dell’oggettività, della chiarezza e di sicuro non è un bene per le nostre democrazie.

6. Ma la cosa più grave di tutti riguarda il potere che Facebook ha ormai sulla nostre vite private ma anche, e forse soprattutto, lavorative. Si tratta di un’azienda grazie alla quale milioni di persone sviluppano la loro attività. Ora, non si può sostenere che essendo in casa altrui bisogna ringraziare qualunque cosa la casa ci passi. Il problema è gigantesco ed è ora che anche i governi se ne comincino ad occupare: può infatti una delle aziende più grandi del mondo cambiare le regole del gioco senza che si rifletta prima sulle conseguenze di tali cambiamenti, che magari mandano aziende, sempre più ricattabili, sul lastrico?

Ci vorrebbe, davvero, un “sindacato” dei fruitori del social più grande del mondo, perché la nostra vita, e non è una battuta, ormai è ben più concretamente minacciata dalla decisione di Facebook di cambiare i suoi algoritmi che dalla minaccia di una guerra tra Trump e la Corea del Nord. Possiamo continuare a far finta di niente? Possiamo accettare acriticamente quella che sembra sempre di più come una “social-dittatura”?

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