A Natale papa Francesco è stato netto. Il primissimo messaggio che ha scandito è che in Terra Santa l’unica soluzione consiste nei “due Stati”. Uno israeliano e uno palestinese. Padre Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, è stato altrettanto netto a Betlemme: “Intorno a noi (c’è) una guerra che ogni giorno l’Erode di turno combatte per diventare più grande, per occupare più spazio, per difendere posizioni e confini”.

In Vaticano hanno memoria e ragionano con un respiro lungo. Intanto non c’è nessuna “gaffe” di Trump. Si tratti della rivoluzione fiscale a favore dei ricchi o di affossare la riforma sanitaria di Obama o di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele senza aggiungere che Gerusalemme Est è capitale della Palestina – il presidente americano segue una strategia precisa. Il Vaticano lo aveva segnalato chiaramente già il 16 febbraio scorso: “Trump cambia rotta sulla soluzione dei due Stati”, titolò in prima pagina l’Osservatore Romano dopo l’incontro alla Casa Bianca di Netanyahu con il presidente Usa. Nel momento stesso, in cui in conferenza stampa Trump dichiarava “Io sono per due Stati o uno Stato… Quello che preferiscono le parti…”, il messaggio era evidente: Washington avrebbe appoggiato totalmente la politica di Netanyahu, il premier israeliano che nel 2015 aveva vinto le elezioni con lo slogan “Con me non ci sarà mai uno Stato palestinese”.

Il punto allora non è Trump, è comprendere piuttosto quali sono gli obiettivi del governo israeliano. In Vaticano, come in molte altre cancellerie, sanno bene che l’immagine di un Israele in lotta per la sopravvivenza non corrisponde alla realtà. Israele è una potenza atomica, il suo sistema antimissilistico Arrow è uno dei più sofisticati al mondo, il suo esercito è fortissimo. Nessuno dei suoi vicini ha intenzione di muovergli guerra. Pensare a un’invasione di Hezbollah è puerile. L’Iran, al di là di ostili sparate propagandistiche contro lo “Stato sionista”, non pare proprio intenzionato – proprio per la deterrenza atomica di Israele – a entrare in guerra contro gli israeliani, che sarebbero in grado di radere al suolo le città iraniane.

Il problema è l’esistenza in Israele di un blocco nazionalista e fondamentalista, che rappresenta la spina dorsale dell’attuale governo. C’è un nazionalismo oltranzista ebraico e un fondamentalismo religioso ebraico, che da anni dettano l’agenda di un’espansione nei territori palestinesi occupati senza il minimo rispetto per le ragioni storiche dei palestinesi che in Terrasanta non sono ospiti ma abitanti con gli stessi diritti degli israeliani. Questo blocco nazional-fondamentalista non ha mai voluto trattare sul serio con Abu Mazen, il leader palestinese più moderato e “occidentale” di tutta la storia. E non ha mai voluto concludere quell’accordo globale di pace che l’intera Lega araba ha offerto oltre un decennio fa sulla base onesta di un Israele e di una Palestina nelle frontiere del 1967.

Questo blocco persegue l’obiettivo cinico e brutale di “arraffare più terra possibile” (terra dei palestinesi), come esortò a suo tempo Ariel Sharon. E’ tutto agli atti della storia, basta non dimenticare.

Forte dell’appoggio di Trump, la strategia di questo blocco tende oggi a dimostrare che la soluzione dei due Stati sarebbe “obsoleta”. Con quali prospettive? Le proposte sul tavolo sono tre.

1) Uno Stato unico. E’ l’ipotesi immaginata da alcuni elementi liberali della società israeliana. Però sancirebbe la sudditanza degli arabi israeliani. Perché Israele ha di fatto una religione di stato, quella ebraica. Una ideologia di stato: patria degli ebrei. E gli arabi sono esentati dalla leva obbligatoria. Sicchè l’etnia dominante porta le armi, l’etnia sottomessa non le porta. Quindi non potendo essere Israele uno stato binazionale (ed è giusto che sia così perché deve essere la patria finalmente ritrovata del popolo ebraico) la soluzione dello stato unico non è praticabile.
2) Un microStato palestinese costellato di colonie illegali ebraiche, che già oggi sono disseminate in 126 insediamenti con oltre 630.000 cosiddetti coloni (vedi la lucida analisi su Aspenia del 10 dicembre 2017). Sarebbe lo “Stato-gruviera” già denunciato dall’allora Segretario di Stato vaticano cardinale Angelo Sodano negli anni Novanta.
3) Una specie di “Regione autonoma palestinese” sul 40 per cento dei territori di Cisgiordania appartenenti ai palestinesi. Equivarrebbe a quello che aveva inventato il Sudafrica dell’apartheid: il grande stato dei bianchi ed “entità autonome” per i neri: si chiamavano “Bantustan”. Un epilogo indegno per la democrazia israeliana e una soggezione umiliante per i palestinesi.

In questo consiste il supposto realismo di chi esorta a “guardare oltre” gli accordi di Oslo e le risoluzioni dell’Onu, che ribadiscono i confini del 1967.

Esattamente per questo motivo papa Francesco, confortato dal voto dell’assemblea delle Nazioni Unite che ha censurato la scelta di Trump, continua a ribadire che l’unica soluzione equa è quella dei “due Stati”. Ed è una posizione su cui per una volta conservatori e riformisti in Curia sono totalmente d’accordo.

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