Prima lo smaltimento illecito degli scarti delle acciaierie, compresa quella di Piombino. Poi l’interramento in discarica di una montagna di immondizia pericolosa e non trattata. Ora il sequestro di un impianto, a Case Passerini, a Sesto Fiorentino: rivendevano compost con più plastica, vetro e metalli del consentito e tra gli indagati c’è anche Livio Giannotti, ad di Alia, società pubblica che svolge il servizio di nettezza urbana nella Toscana centrale e che insieme ad Hera si propone  di costruire il nuovo inceneritore della Piana fiorentina (ma su questo si pronuncerà presto il Consiglio di Stato). Prima di tutto questo, nel 2016, l’inchiesta Demetra scoprì uno spargimento illegale di fanghi di depurazione sulle colline pisane, e ancora un altro scandalo che aveva coinvolto la gestione dei rifiuti nella parte meridionale della regione, con accuse di corruzione e turbativa d’asta.

Cosa succede alla Toscana? Mentre la politica non si trova una linea unica e i sindaci continuano a litigare, fioccano le inchieste giudiziarie. Tutti fulmini a ciel sereno? Non sempre. Quando si è diffusa la notizia dell’inchiesta di Livorno, epicentro secondo gli inquirenti di un traffico illecito di monnezza da 200mila tonnellate in due anni, in pochi si sono stupiti. I nomi di varie aziende coinvolte erano già finiti agli onori delle cronache per guai giudiziari, incendi, esposti e qualche ombra nel passato dei loro amministratori. Tutte circostanze che la politica è rimasta a guardare, con un occhio chiuso e l’altro aperto.

I guai di Rea, proprietaria della discarica che ingoia tutto
Rea Impianti è tutta di proprietà del Comune di Rosignano, a sud di Livorno. Gestisce il mega-sito di Scapigliato. E’ la discarica più grande della Toscana, un invaso di 80 ettari tra le colline, destinato ad ampliarsi ancora. Ogni anni ingoia fino a oltre 400mila tonnellate di scarti urbani e industriali. Secondo chi ha condotto l’inchiesta con i 6 arresti, qui dentro finiva una parte importante dei rifiuti pericolosi, spesso trattati solo sulla carta, attraverso la pratica criminale ormai collaudata del giro bolla. Tra gli indagati c’è anche l’attuale amministratore unico di Rea Impianti Alessandro Giari mentre due manager (Massimiliano Monti e Dunia Del Seppia) sono stati interdetti per un anno.

Non sono gli unici casi di smaltimenti critici a Scapigliato. Nel 2016 le carte dell’inchiesta Demetra (chiusa con 59 persone e 20 aziende indagate) avevano sottolineato che migliaia di tonnellate di scarti di cartiera, usate nella discarica come terre di copertura, in realtà avrebbero dovuto essere smaltite come rifiuti, perché piene zeppe di inquinanti. L’allora amministratrice unica Lilia Benini era finita tra gli indagati, poi ricevette un’interdittiva di sei mesi.

Il gip: “Azienda complice”. Per il sindaco è tutto a posto
Ora, come allora, il sindaco di Rosignano e gli amministratori alzano le mani sostenendo che la società è parte lesa. “È certo – dice Giari a ilfattoquotidiano.it – che il nostro impianto non era minimamente a conoscenza del fatto che si possano essere determinate queste irregolarità, altrimenti saremmo intervenuti. Sono sicuro della totale estraneità della nostra azienda e delle persone che ci lavorano”. Il sindaco Alessandro Franchi (che è anche presidente della Provincia) aggiunge che “l’azienda oltre alle normative e alle autorizzazioni mette in atto una serie di controlli ulteriori. Rea impianti è parte lesa, c’è stato un raggiro di cui le discariche di Scapigliato e Piombino sono vittime”. Una lettura che però non coincide con quella dei magistrati che conducono l’inchiesta: “Tale comportamento (il deposito di rifiuti non trattati in discarica, ndr) non sarebbe attuabile se non con la piena complicità delle discariche alle quali vengono conferiti i rifiuti che accettano indistintamente gli stessi senza mai controllarli o effettuando dei controlli a campione concordati”, ha scritto il gip Angelo Antonio Pezzuti. “Non servivano competenze particolari – sintetizza meglio un investigatore al Fatto.it – per accorgersi che quei rifiuti erano pericolosi. L’odore era nauseabondo, facevano lacrimare gli occhi. Ma il meccanismo era ben oliato: subito dopo il conferimento, arrivava un altro mezzo che ricopriva tutto di terra”.

E’ dunque possibile che nessuno alla Rea avesse mai avuto neanche un sospetto delle irregolarità? E che il sindaco non si preoccupi per quello che potrebbe essere successo in un’azienda di proprietà del suo Comune? D’altra parte altri guai per Rea (dalla cui costola è nata nel 2013 Rea impianti) erano arrivati nel 2011 dal socio privato Enerambiente, come raccontò ilfatto.it: una vicenda in cui al fallimento della società (su cui oggi indaga la Procura di Venezia) si intrecciavano vicinanze sospette dei suoi vertici e membri del cda di Rea, messe nero su bianco da un’informativa della prefettura veneziana.

E la discarica si allarga, si allarga, si allarga…
Nel frattempo si discute anche dell’ampliamento del sito, a cui però la Regione ha appena imposto un primo stop. Il progetto, firmato dall’archistar Mario Cucinella, prevede di costruire accanto alla discarica, dove finirà anche amianto, due impianti di trattamento rifiuti e un incubatore per aziende. Non mancano le proteste dei cittadini: “Le ultime inchieste moltiplicano le nostre preoccupazioni – dice Roberto Repeti di Rifiuti Zero Cecina, cittadina vicina alla discarica – Non ci viene permesso neanche di prendere parte all’iter autorizzativo in corso, nonostante la legge dia questa possibilità ai comitati e nonostante la Toscana abbia una norma ad hoc all’avanguardia sulla partecipazione in tema di grosse infrastrutture”.

Lo spostamento della Lonzi, prorogato per 7 anni (dalla Regione)
Non meno presenti, nelle cronache toscane, i nomi delle due aziende livornesi di trattamento rifiuti Lonzi Metalli e RaRi, entrambe gestite dall’imprenditore Emiliano Lonzi, secondo gli inquirenti vero perno dei traffici illeciti al centro dell’inchiesta. La Lonzi negli ultimi vent’anni ha collezionato una serie di incendi e gli investigatori cercheranno di capire se la gestione non corretta dei rifiuti possa avere avuto un ruolo. Per mettere a tacere le lamentele dei cittadini che vivono intorno allo stabilimento – in una zona di campagna, a ridosso delle Colline Metallifere, area di camminatori, ciclisti e ippoterapia -, il Comune e la Provincia avevano previsto lo spostamento dell’impianto fin dal 2010. Ma di proroga in proroga (le ultime accordate all’azienda dalla Regione Toscana, la stessa che a seguito dei giri bolla effettuati da Lonzi e RaRi ci avrebbe rimesso 4,3 milioni di euro di ecotassa non pagata) siamo arrivati al 2017 con un nulla di fatto e montagne di rifiuti pericolosi in sosta nei piazzali vicino alle case.

I cattivi odori dalla Rari, le condanne di titolare e moglie
E molte lamentele dei residenti livornesi riguardano anche i cattivi odori che si sprigionano dai capannoni RaRi. In questo caso però il processo scaturito da un esposto dei cittadini è finito nel 2010 con un’assoluzione dell’azienda. L’ordinanza del gip che ha disposto i domiciliari per Lonzi, la moglie e alcuni collaboratori, ne ricostruisce anche i trascorsi giudiziari: l’imprenditore livornese era già stato condannato per il trasporto abusivo di rifiuti (condotta oggi depenalizzata), mentre la moglie Anna Mancini, dipendente di RaRi, ha già subito quattro condanne divenute esecutive, di cui due per violazioni di norme in materia ambientale.

La seconda discarica: Piombino. “Ma quando i carichi sono irregolari li rispediamo indietro”
Dai due stabilimenti di Livorno, i rifiuti finivano in buona parte a Scapigliato, ma anche alla discarica di Piombino gestita dalla società a partecipazione pubblica Rimateria. Un altro sito in fase di ampliamento, in questo caso già autorizzato dalla Regione nel 2016. Oggi anche il presidente Valerio Caramassi, indagato, spiega a ilfatto.it di considerare la sua società parte lesa. “Abbiamo fatto tutto quello che si deve fare per la verifica dei rifiuti in ingresso e i documenti che abbiamo consegnato alla magistratura lo dimostrano – spiega – Quando riscontriamo carichi irregolari li rispediamo indietro. Con RaRi era successo un paio di volte, tanto che avevamo sospeso i conferimenti per alcuni mesi, poi ripresi dopo nostri sopralluoghi nel loro impianto”.

Bulera, la terza discarica che ingoiava i rifiuti della RaRi
Dalle carte dell’inchiesta spunta anche il nome di un’altra discarica, quella di Bulera, nella zona di Volterra. Anche questa è in fase di ampliamento, nonostante della sua chiusura si parli dal 1999. La giunta toscana è pronta a dare il via libera, nonostante diverse criticità, come ha scritto più volte ilfatto.it e ha ribadito in consiglio con un’interrogazione Giacomo Giannarelli (M5s). Secondo quanto emerge dall’inchiesta, ora, anche qui potrebbero essere finiti rifiuti trattati solo sulla carta. Gli inquirenti sono al lavoro per delineare meglio il ruolo del sito di Bulera, gestito dalla Scl (non indagata). Il gip fa riferimento a Scl solo con un cenno rapido, ma parla di controlli sui carichi eseguiti proprio dall’azienda.

IlFattoQuotidiano.it è in grado di dimostrare che di sicuro nel solo 2016, in questa discarica tra le colline pisane, circa un quinto delle oltre 146mila tonnellate smaltite tra gennaio e novembre venivano proprio da RaRi: oltre 28mila tonnellate di fanghi, sia pericolosi che non pericolosi. Monnezza che in parte è arrivata a Bulera sui camion della Vanni Autotrasporti, altra società coinvolta nell’inchiesta (con il suo ad Alessandro Vanni destinatario anche di un’interdittiva di un anno) e in parte anche su quelli della Rat, impresa di trasporti citata nell’ordinanza del gip per futuri approfondimenti e che al momento non risulta indagata. Non solo RaRi, non solo Vanni: da gennaio a maggio 2016, circa mille tonnellate di rifiuti non pericolosi erano arrivate a Bulera anche dalla Teate Ecologia di Chieti. Anche questa azienda è coinvolta nell’inchiesta.

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