Il destino dei vitalizi sembra appeso a un Ufficio di Presidenza del Senato convocato mercoledì prossimo da Grasso, dato che l’istruttoria – assicurano fonti parlamentari – si è conclusa e “sono arrivati tutti i pareri legali richiesti”. I Cinque Stelle avevano chiesto la calendarizzazione urgente, devono accontentarsi e sperare. Intanto sulla strada last-minute di una taglio tramite delibera o modifica del regolamento, oltre alle solite resistenze, impatta anche una sentenza di ieri della Consulta in tema di sindacabilità delle decisioni prese dai vertici delle Camere. La facoltà di regolare internamente le controversie è infatti legittima ma “per il personale interno, non nei rapporti giuridici verso terzi”. Questo dice la sentenza della Corte Costituzionale n. 262 depositata ieri, giudice relatore Giuliano Amato (che ha poi rimesso il mandato) e firmatario Niccolò Zanon, che tenta di fare chiarezza sull’autodichia, un istituto molto controverso dell’ordinamento giuridico e del costume politico nazionale che consente agli organi citati in Costituzione di regolare i rapporti interni e le relative controversie unicamente tramite propri organi giurisdizionali, facoltà introdotta nella Carta a tutela della loro autonomia poi estesa e distorta nel tempo dagli occupanti del Palazzo, fino a renderla una sorta di “muro di gomma” con cui difendere ogni sorta di privilegio.

La sentenza riguarda un dipendente del Senato, il geometra Pietro Lorenzoni, che ha ingaggiato una lunghissima battaglia contro le istituzioni repubblicane per vedersi riconoscere una qualifica che gli organi interni hanno negato. Una classica causa di lavoro che avendo però come “luogo” del fatto un organo costituzionale atterrava sempre sul muro di gomma delle commissioni interne. Da qui l’idea di portare il quesito in Cassazione che lo rimette alla Suprema Corte che lo accoglie con una pronuncia sempre a suo sfavore che pone però dei paletti all’uso e all’abuso dell’autodichia, promettendo di rivoluzionare prassi inveterate come gli appalti senza gara, le delibere di presidenza senza appello, le elargizioni riconosciute o tolte al chiuso di una stanza.

Ma il terreno su cui può determinare subito effetti è proprio quello dei vitalizi. Se il ricorso esclusivo agli organi giurisdizionali è legittimo per i dipendenti ma non verso terzi si pone il tema della corretta collocazione di deputati e senatori, cioé i beneficiari delle intoccabili prebende. Perché non v’è dubbio che non siano dipendenti delle Camere, almeno secondo un’interpretazione logica che non mancherà di trovare dei fini giuristi. Ergo, neppure le modifiche al regolamento delle Camere in materia di vitalizi sarebbero poi insindacabili e al riparo da bocciature della Consulta.

Potrebbero dunque bussare a un tribunale ordinario, ad esempio, gli ex deputati che a marzo hanno fatto ricorso contro il “contributo di solidarietà” triennale imposto dal Consiglio di presidenza di Montecitorio dopo un accordo Pd-M5S. A pagare sono stati chiamati tutti gli “ex” che beneficiano di assegni superiori ai 70mila euro l’anno. In venti hanno si sono rivolti all’unico organo possibile, cioé il Consiglio di giurisdizione della Camera. La prima udienza si è tenuta fine novembre, non è stato ancora deciso nulla. Ma d’ora in poi anche i fautori dell’intangibilità dei “diritti acquisiti” potranno cercare un giudice fuori dalle Camere, con buona possibilità di vedersi accogliere le loro istanze.

A parte le elargizioni in favore degli eletti la sentenza ha un effetto su questioni non secondarie come gli appalti senza gara, le delibere di presidenza senza appello, i contratti d’urgenza e secretati e così via. Dagli affitti d’oro a Scarpellini fino all’intangibilità dei diritti acquisiti. Non a caso esultano i radicali abolizionisti di questo antico privilegio sul quale la Casta ha costruito montagne di privilegi, sprechi e scandali. “Si tratta di una clamorosa vittoria, seppure a metà, che riscuote la nostra battaglia contro la zona franca nei Palazzi della politica”, dice Irene Testa che sul tema ha scritto due libri di analisi e di critica giuridica. “Il quadro contorto che esce dalla sentenza n. 262 non rende giustizia all’impegno del ricorrente e del partito radicale che lo ha sostenuto, ma dimostra che la battaglia andava combattuta e merita di essere proseguita”. Se non altro perché determina confini laddove la politica si era abbattuta, non sempre mossa da interessi propriamente leciti. “Riguardo la materia appaltistica, la sentenza è chiara e stabilisce i confini entro cui l’autodichia può operare, escludendo categoricamente che anche le controversie relative ai fornitori e agli appalti possano essere gestite in autonomia. Questa sentenza porrà finalmente un limite all’uso spropositato di delibere degli uffici di presidenza ma rafforza la sovranità della legge riguardo molti aspetti della vita delle Camere. Anche la questione dei vitalizi, e delle elargizioni, non potrà essere gestita con delibera ma dovrà essere una legge a regolarne il funzionamento”.

E qui torna il nodo delicato della faccenda: i parlamentari sono poi terzi rispetto alla propria Camera di appartenenza? Qualcuno obietterà, in punta di diritto, che non lo sono affatto, perché è proprio per difendere le loro prerogative costituzionali che si è creato il regime speciale dell’autodichia. “E tuttavia – spiega la radicale – la stessa Camera li ha trattati come tali in più occasioni. Ad esempio quando si è trattato di abolire i vitalizi ai condannati. I ricorsi mossi da alcuni furono poi trattati in una commissione contenziosa che chiamano”tribunalini composizione terzi”, quindi loro stessi li hanno sempre considerati tali”.

Meno incerto (e più infausto) il destino dei dipendenti delle amministrazioni parlamentari che “ingiustamente rimarrà figlia di un dio minore e non avranno diritto ad un giudice esterno e terzo nelle loro controversie di lavoro”. Si tratta, tra gli altri, dei 175 dipendenti di Montecitorio che avevano chiesto al tribunale ordinario di Roma e quindi alla Consulta di accertare la legittimità dei limiti alle progressioni di carriera disposti dalla Presidenza della Camera che per tutta risposta aveva sollevato eccezione di difetto di giurisdizione, affermando la competenza esclusiva dei propri organi interni sulle controversie dei propri dipendenti in nome dell’autodichia. “Ingiustamente – dice Irene Testa – questa categoria rimarrà figlia di un dio minore e non avrà diritto ad un giudice esterno e terzo nelle loro controversie di lavoro”.

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