Sempre più occupati a termine, tanto che nel secondo trimestre si è toccato il massimo storico di 2,7 milioni. E oltre 500mila lavoratori “somministrati“, che lavorano nel 95% dei casi con contratti brevi. O brevissimi. Il dato medio è di 12 giorni, ma il 58% viene chiamato in servizio per meno di sei giorni e il 33,4% (era il 30,5% nel 2012) addirittura per una sola giornata. E’ il quadro di un mercato del lavoro sempre più precario, a dispetto del Jobs Act, quello che emerge dal primo rapporto annuale sull’occupazione in Italia: a prepararlo sono stati, insieme, il ministero guidato da Giuliano Poletti, l’Istat, l’Inps, l’Inail e l’Anpal. Con l’obiettivo di “rispondere alla crescente domanda di una lettura integrata” dei dati sull’occupazione, visto che le diffusioni mensili e trimestrali da parte di fonti diverse tendono ad aumentare la confusione invece che far chiarezza.
La premessa spiega che le diverse analisi “convergono nel descrivere un quadro di miglioramento”, in cui “fattori di fondo – demografici e sociali dal lato dell’offerta di lavoro, di selezione interna e risposte ai mutamenti tecnologici e della globalizzazione dal lato delle imprese – e fattori di più breve periodo (espansione ciclica mondiale e politiche economiche) concorrono a una ripresa economica caratterizzata da una elevata intensità occupazionale”. I numeri però dipingono un quadro in chiaroscuro: il numero degli occupati “si avvicina ai livelli del 2008“, poco meno di 23 milioni, ma “in termini di ore lavorate il divario è ancora rilevante”: quasi il 6% in meno. Conseguenza diretta del calo dell’attività produttiva e dell’incremento dei posti a tempo parziale.
E il tanto rivendicato “effetto Jobs Act“? Nel 2015 e 2016 gli sgravi contributivi per le assunzioni stabili – che peraltro non sono parte della riforma del lavoro, l’hanno solo accompagnata – hanno fatto “crescere significativamente” l’occupazione a tempo indeterminato, ma non tanto da riportarla al massimo storico fatto segnare prima della crisi. Come emerso da tempo, poi, la ripresa occupazionale ha beneficiato soprattutto i lavoratori senior: il tasso di occupazione dei 15-34enni risulta tuttora del 10,4% più basso rispetto al livello del 2008, a fronte di un aumento di 16 punti per i 55-64enni e di 1,5 punti per i 65-69enni. “Negli ultimi due anni, tuttavia”, si legge nel documento, “la condizione dei giovani mostra segnali di miglioramento: dopo otto anni di calo, il tasso di occupazione dei 15-34enni torna a crescere nel 2015 e
soprattutto nel 2016 (+0,1 e +0,7 punti), in particolare per 25-29enni”.
Nel frattempo però sono progressivamente aumentati i rapporti di lavoro in somministrazione, gli ex interinali. Assunti dalle Agenzie per il lavoro, che li inviano “in missione” nelle aziende che richiedono i loro servizi. I loro contratti, mettono nero su bianco ministero, Inps e Istat, sono sempre più brevi. “L’incidenza dei contratti di breve durata sul complesso risulta in crescita”, si legge, “dal 56% del 2012 al 58% del 2016. La loro durata media prevista è progressivamente diminuita passando da 13,8 giorni nel 2012 a 11,7 giorni nel 2016. Più dettagliatamente, se nel 2012 le attivazioni con durata prevista inferiore ai 6 giorni erano pari al 55,2% del totale delle attivazioni brevi, nel 2016 passano al 58,5%“.
Una crescita “quasi totalmente imputabile alle attivazioni che prevedono una sola giornata, la cui incidenza cresce di quasi 3 punti percentuali dal 30,5% al 33,4%”. Al contempo, “si comprime sensibilmente la quota di attivazioni di breve durata che superano le 31 giornate previste: dal 16,2% al 12,7%”. Si noti che non si tratta (più) solo di giovani alle prime armi: se gli under 25 e i 35-44enni sono i più numerosi, “nel corso del quinquennio è cresciuta l’incidenza relativa degli individui con più di 45 anni” ed è “più che raddoppiato il numero di lavoratori over 55 interessati da contratti di somministrazione di breve durata”.
Tra 2012 e 2016, nota infine il Rapporto, i lavoratori con rapporti di breve durata sono saliti da 3 a 4 milioni. In forte crescita soprattutto i voucher, poi aboliti lo scorso anno, i rapporti di lavoro a termine, i rapporti di somministrazione e i professionisti autonomi o parasubordinati. Il valore economico dei lavori brevi, misurato sulla base delle retribuzioni e dei redditi imponibili, è salito dai 9,7 miliardi nel 2012 ai 12 miliardi nel 2016.