Le ultime due alluvioni che hanno pesantemente colpito Genova, nel 2011 e 2014, hanno convinto i governi, prima con il “Piano nazionale per le città” di Mario Monti, poi con “Italia Sicura” di Matteo Renzi, a contribuire economicamente allo sforzo di Regione Liguria e Comune per realizzare alcune opere essenziali per la riduzione del rischio idrogeologico. Ma se a valle si procede per ridurre il rischio esondazioni, molto più difficile sembra intervenire a monte, sulle alture della città. Dove l’abbandono contribuisce a determinare dissesto e alluvioni.
In una città costruita in gran parte sull’alveo di torrenti e stretta tra i monti e il mare la manutenzione dei versanti e la regimazione delle acque ricopre un ruolo fondamentale, ma spesso questa viene lasciata alla libera iniziativa di volontari o ai Municipi particolarmente sensibili. Un caso emblematico è quello del “Biscione”, lungo complesso di edilizia popolare costruito sul finire degli anni ’60 al delimitare del bosco sul Colle della Calcinara di Forte Quezzi, sopra al quartiere di Marassi in Val Bisagno, zona duramente colpita dalle alluvioni. “Negli ultimi anni le nostre cantine sono state più volte sfondate dall’acqua, dal fango e dai detriti che sbattono contro il “biscione” che in pratica diventa una sorta di diga“, spiegano i residenti. Qui l’alluvione del 1970 causò una frana che sradicò parte della costruzione che avrebbe dovuto interessare trenta alloggi popolari, proprio dove ora sorge la scuola materna. “Ci sono canali che dovrebbero far scorrere l’acqua sotto alla strada – sottolinea Donato Bochicchio, del comitato per la salvaguardia del Forte Quezzi – ma quasi sempre le griglie si riempiono di pietre, tronchi e detriti, così l’acqua non trova sfogo e finisce per sfondare le cantine, il terreno non assorbe e tutto quello che succede qua sulle alture ha poi inevitabilmente una conseguenza in centro città”. La manutenzione del bosco e dei versanti viene quindi delegata completamente a gruppi di volontari, in alcuni casi sostenuti dai municipi, in assenza di una vera e propria pianificazione degli interventi. Nel frattempo, proseguono i principali interventi in centro città: l’adeguamento della copertura del Bisagno (122 milioni di euro, fine lavori previsto per il 2020), la realizzazione del suo scolmatore (175 milioni, ancora in fase di progettazione) e di quello del Fereggiano (45 milioni, termine lavori previsto per agosto 2018). “In continuità con la scorsa amministrazione – precisa Paolo Fanghella, assessore comunale ai lavori pubblici – stiamo provvedendo e continueremo a intervenire nella prevenzione del rischio, ma non si potrà mai parlare di rischio zero in un territorio dove storicamente si è costruito sull’alveo dei torrenti e ogni rivo può rappresentare un pericolo in caso di forti precipitazioni”. Scopo dei lunghi tunnel sotterranei chiamati “scolmatori”, del torrente Bisagno come del Fereggiano, è quello di consentire il deflusso a mare di acqua e fango in caso di precipitazioni elevate, limitando il rischio di nuove esondazioni in centro città.
“Ma un’eccessiva attenzione per queste opere fondamentali – riflette Pietro Piana, geografo che per l’Università di Nottingham ha studiato l’evoluzione storica di Genova proprio in rapporto con l’equilibro idrogeologico – rischia di distrarre l’opinione pubblica e far dimenticare quella prevenzione quotidiana e capillare che andrebbe progettata e portata avanti sistematicamente sui versanti e nei quartieri alti della città, dove non solo in caso di forti precipitazioni, ma ad ogni pioggia, le strade si trasformano in corsi d’acqua scendendo poi a valle e causando i disastri che abbiamo visto in occasione delle alluvioni”. Se il Municipio Bassa Val Bisagno interviene come può, aiutando questi volontari e sollecitando gli interventi del Comune, l’assessore Paolo Fanghella chiarisce come “quella del biscione sia solo una delle oltre trecento situazioni in cui gli interventi di salvaguardia idrogeologica e pulizia di alvei e versanti non sarebbero di competenza del Comune, ma dei privati”. In base al codice civile, infatti, nessun ente pubblico potrebbe – anche ammesso che ne abbia volontà politica, competenze tecniche e disponibilità economiche – intervenire in aree di competenza di privati. Tuttavia, spesso le responsabilità si sovrappongono e si confondono, come nel caso del bosco di Forte Quezzi: “Area di competenza di privati”, secondo l’assessore, mentre secondo i volontari che si rimboccano le maniche per prevenire disastri, l’area è “passata un anno fa dalla Regione al Patrimonio del Comune”. Ad oggi, in ogni caso, entrambi gli scolmatori che aumenteranno la portata dei torrenti Fereggiano e Bisagno sono ben lontani dall’essere operativi, e i genovesi devono convivere con l’incubo di rivivere le devastazioni delle recenti alluvioni. “Ma non ci sono solo gli interventi a valle – cerca di chiarire l’assessore Fanghella – il Comune è intervenuto e continuerà a farlo anche nelle altre zone di sua competenza”. Ma in una città dove si è edificato lungo l’alveo dei torrenti, le cui strade corrono per il 60% sopra a corsi d’acqua e, anche sulle colline, si è cementificato e costruito senza vincoli di sostenibilità ambientale, la paura è che la gran parte delle situazioni di rischio ricadano sulla responsabilità di privati, che neppure lo sanno e si ritrovano a scoprirlo solo quando ne devono pagare le conseguenze. Come quando una frana spazza via le fondamenta di un condominio e i residenti, oltre al danno, si ritrovano la beffa: i lavori di rimessa in sicurezza sono a carico loro. “Certo – aggiunge Fanghella – in casi di emergenza il Comune può intervenire anche su terreni privati, ma sempre “in danno”, ovvero anticipando cifre che i residenti dovranno poi restituire”. Insomma, ancora una volta, nel consueto ginepraio di responsabilità, non si capisce bene chi, quando e come debba intervenire, né chi pagherà eventuali danni in caso di nuove piogge torrenziali che i cambiamenti climatici sembra proporranno sempre più di frequente
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