Una nuova causa contro il governo. Adesso Chiara Appendino chiede 45 milioni di euro al ministero della Giustizia. È la somma che via Arenula dovrebbe versare nelle casse del Comune di Torino per le spese di manutenzione, sorveglianza e telefonia del Palazzo di giustizia e degli altri uffici giudiziari sostenute dalla città nel periodo tra il 2012 e la metà del 2015. Fino al 2012 il ministero anticipava una quota e poi saldava le spese effettive sostenute dai comuni per gli uffici giudiziari. Poi è arrivato il governo Monti con la spending review e da allora 800 amministrazioni locali non hanno ottenuto niente. Per questa ragione martedì la giunta comunale di Torino, una delle città più indebitate d’Italia, ha deciso di procedere con un ricorso al Tar del Lazio.

È l’ultimo strumento adottato dall’amministrazione M5s per ottenere quella somma che può essere preziosa per la città, se si considera la situazione finanziaria. All’inizio il Comune di Torino aveva inviato delle lettere per richiedere il pagamento, ma non ha mai ottenuto risposte. Di conseguenza nei mesi scorsi l’ufficio legale della città ha mandato diffide ai tecnici del dicastero di Andrea Orlando intimando il versamento delle somme – conteggiate e verificate dai magistrati della corte d’appello torinese – entro un termine imposto. Da Roma, però, non è arrivato nessun bonifico, né una replica. Ed è contro questo “silenzio” che il Comune depositerà presto un ricorso amministrativo in cui chiederà il riconoscimento del credito e il pagamento.

Non sarebbe la prima volta che Torino si rivolge ai giudici amministrativi per questa materia. L’8 agosto scorso era stato depositato un altro ricorso per ottenere dai giudici l’annullamento del decreto della presidenza del consiglio del 10 marzo con cui il governo offriva il rimborso parziale delle spese sostenute dai comuni se questi avessero rinunciato ai contenziosi: al capoluogo piemontese sarebbero spettati tredici milioni spalmati nell’arco di 30 anni e senza interessi, una proposta inaccettabile per la città. Lo scorso 18 settembre i giudici del Tar del Lazio hanno deciso di sospendere (in via cautelare) il decreto del governo perché avrebbe provocato un danno “di particolare rilevanza e difficile reintegrabilità, alla luce della specifica condizione finanziaria dell’ente ricorrente”. Una decisione simile è stata presa nei ricorsi intentati da altre città come Bologna, Macerata e Ascoli Piceno, mentre altre potrebbero avviare nuovi contenziosi insieme all’Anci.

L’ordinanza cautelare del Tar del Lazio però non è bastata all’amministrazione Appendino che ora proverà a percorrere la strada battuta dal suo predecessore, Piero Fassino. Il politico Pd aveva chiesto a Tar e Consiglio di Stato di riconoscere il diritto a ricevere dal governo i fondi perequativi dell’Ici e dell’Imu e aveva vinto. Da allora la sindaca e la sua amministrazione reclamano dallo Stato 61 milioni, ma il governo sostiene che la somma sia inferiore e finora la città non ha ancora visto un euro.

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