Claudio Baglioni, nuovo direttore artistico del Festival di Sanremo, ha annunciato tre importanti novità per l’edizione 2018. Eccole di seguito:
nessuna eliminazione nelle varie serate: tra giovani e big, chi inizia il Festival lo finisce;
– canzoni non più con limite di tempo di 3 minuti e 15 secondi, ma di 4 minuti per ciascun brano;
niente più serata delle cover, ma ogni artista potrà in quell’occasione presentare il brano in gara con arrangiamento differente e ospiti d’eccezione.

Sono tre novità non di poco conto, perché soddisfano una filosofia autorale, quindi artistica e che valorizza la poetica personale di ogni cantante in gara. Tutto ciò è in totale controtendenza con i Sanremo recenti e con la prostrazione al meccanismo da rifacimento iconico di brani conosciuti, proprio di talent come Amici o X-Factor.

Il succo della questione è il seguente: un Sanremo diretto da Baglioni non potrà mai essere un Sanremo usuale. La sua poetica – sembrerà strano quello che sto per scrivere – non è infatti caratterizzata dalla melensaggine amorosa propria dell’icona del Festival. Il Baglioni migliore e più longevo è quello che va pressappoco dal 1977 al 1999: un artista complesso e ricercato, esistenziale, capace di sfoggiare una cifra stilistica d’autore. Baglioni è quello che nel 1985 va a Sanremo per essere celebrato, grazie al fatto di aver scritto la canzone del secolo: ringrazia tutti e scompare, perché quel posto non gli appartiene, le gare con le canzoni non si fanno; lui fa altro. Non lo fa da oltre quindici anni, ma questo è stato il principale Baglioni.

Provai a dirlo qualche anno fa qui, in uno scritto che mi ha procurato qualche nemico. Accadde perché la polemica sanguinaria vince sempre sulla riflessione pacata e argomentata, e poi perché alcuni condivisero il pezzo, mio malgrado, trasformando il titolo “Claudio Baglioni, quindici anni di canzoni senza un motivo per cantare” (in cui si sottolineava una sacrosanta e legittima flessione creativa, soprattutto nel doppiofondo della parola “motivo”) nel grossolano, cafone e improponibile (oltreché falso) “Quindici anni di canzoni inutili”. Ma questa è un’altra storia, qui non particolarmente interessante.

Tornando al Festival, chi conosce la meticolosità e la pignoleria che Baglioni sfoggia in ogni spettacolo dal vivo, inoltre, sa che Sanremo non potrebbe essere diretto da persona più affidabile. Baglioni è professionalmente un gentiluomo, artista competente, preciso e preparato; in più, aspetto che fa la differenza, non ha nessuna voglia di mettere in discussione la propria reputazione artistica davanti a milioni si spettatori.

Potrebbero però esserci dei tasti dolenti. Sanremo non è solo un concorso di canzoni: è anche – soprattutto? – un programma televisivo, che risponde dunque a diverse logiche. E quello non è il mestiere di Baglioni. Potrà di certo contare su fior di esperti al suo fianco (per esempio Duccio Forzano), ma si sa che le dinamiche artistiche musicali difficilmente collimano con quelle televisive. Il più delle volte le seconde surclassano le prime.

Altra incognita: quanto cederà Baglioni alle quote-talent? Negli ultimi anni abbiamo visto big improponibili, artisti di fama gareggiare con ragazzini sconosciuti anche nel proprio condominio.

E ancora: personalmente vedrei molto bene Baglioni a Sanremo, ma al Premio Tenco, perché il Festival ha un animo pop e iconico che funziona da quasi settant’anni. Siamo certi che una virata d’autore gli sia congeniale e, più in generale, sia giusta?

Il dibattito è aperto, siamo solo agli inizi.

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